giovedì 23 aprile 2020

COSI MUORE UN CARABINIERE, UN CAVALIERE CATTOLICO


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Il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, 35 anni, è stato ripetutamente pugnalato a morte nella notte tra il 25 ed il 26 luglio 2019, in Trastevere, una delle più antiche e centrali zone di Roma, durante un normale servizio notturno cui non aveva voluto mancare.
Ieri mattina, di buon’ora , gli sciacalli si sono messi in moto, spargendo nella società, con i loro mezzi di comunicazione preferiti (Twitter, Facebook) i loro semi dell’odio, e facendo divampare lo scontro politico, mentre solo un paio d’ore prima aveva cessato di vivere un fedele ed esemplare servitore dello Stato, e dimostrando così – vomitandosi addosso montagne di parole , anziché tacendo – che di quella vita,di quell’ennesimo operatore delle Forze dell’Ordine caduto in servizio, in ultima analisi, non gliene importava granché; quella morte era l’ennesima occasione per occupare uno spazio informativo e far notare la loro presenza. Nessuna vicinanza vera alla giovane moglie, agli altri familiari ed all’Arma Benemerita; nessuna riflessione politica sulle conseguenze del consumo della droga, soprattutto la cocaina, la più subdola e pericolosa tra le droghe, che è all’origine dell’ uccisione del vicebrigadiere Cerciello Rega.

Gli ululati degli sciacalli si levavano sull’ennesima proposta di aumento spropositato delle pene, sull’ennesima stretta all’immigrazione, e così via sparando in alto, in uno scontro che più divisivo non si può, inconcludente, indegna del ruolo ricoperto dai protagonisti urlanti…
Tutte cose che non risolvono di certo la situazione operativa delle Forze dell’Ordine, e che tantomeno rendono onore ai fatti ed alla vittima.
Bastava fare silenzio e limitarsi alle condoglianze; invece no, dovevano e devono “segnare” il territorio come i cani, devono appropriarsi anche dei caduti delle forze di polizia, trascurando un piccolo ma fondamentale dettaglio: i carabinieri, la Polizia di Stato, la Guardia di Finanza, le Forze Armate, non sono né di destra né di sinistra; che piaccia o meno, sono a difesa dello Stato di diritto e della Repubblica. Punto.
Per questa gente, invece, è ancora valida la splendida canzone del 1991 di Franco Battiato “Povera Patria”:
«Povera patria schiacciata dagli abusi del potere/Di gente infame che non sa cos'è il pudore/
Si credono potenti e gli va bene quello che fanno/ E tutto gli appartiene/
Tra i governanti quanti perfetti e inutili buffoni/ Questo paese è devastato dal dolore/
Ma non vi danno un po' di dispiacere/Quei corpi in terra senza più calore?
».



Ad alcuni sarà pure dispiaciuto non poter addossare la colpa sui nordafricani, ma gli assassini rei confessi sono due giovani statunitensi di 19 e 20 anni di età, tali Elder Finnegan Lee e Christian Gabriel Natale Hjorth, fermati per l’omicidio del vicebrigadiere Cerciello Rega a distanza di poche ore dai fatti. Ad entrambi è contestato l’ omicidio e la tentata estorsione in concorso, anche se ad infliggere le otto coltellate mortali sarebbe stato il 19enne, Elder Finnegan Lee.


I Carabinieri hanno svolto egregiamente il proprio lavoro, e di conseguenza la giustizia potrà fare il suo corso, si spera senza lo sbraitare dei perfetti e inutili buffoni del brano di Battiato.
Nel contempo, non vanno dimenticati due fatti che, a nostra memoria, non si erano prima verificati e di cui abbiamo già fatto cenno su questo sito, e cioè l’omaggio al caduto dell’Arma dei Carabinieri portato al comando generale , a sirene spiegate, prima dalla Polizia di Stato e successivamente dai militari della Guardia di Finanza , che hanno salutato sull’attenti. È stato un incantevole esempio di unità dato nello stesso giorno dalle forze dell’ordine; non una semplice solidarietà, ed una resa d’onori ad un bravo Collega e ad un uomo buono , ma, a nostro avviso una dimostrazione di quelli che proprio gli americani chiamerebbero “brothers in arms” , “fratelli d’ armi”. Tangibile consapevolezza, cioè, della condivisione di un lavoro impegnativo, difficile, rischioso sia fisicamente che “giudiziariamente”, non valorizzato nelle sue dinamiche quotidiane : retribuzioni al palo, sostituite molto parzialmente da una poco comprensibile (ai più) moltiplicazione dei gradi; carenza di alloggi di servizio proprio mentre si progetta di trasformare in centri commerciali le caserme non più utilizzate; parco automezzi ormai “multi marche”, di difficile gestione e spesso di scarsa praticità; dotazioni individuali carenti, ecc. ecc.
Si potrebbe continuare a lungo l’elenco delle doglianze, sempre uguali da molti anni, tanto che , anche qui, risulta attuale l’altrettanto famoso brano del povero Giorgio Faletti, del 1994 , “Signor Tenente” :
« … Minchia signor tenente e siamo qui con queste divise/Che tante volte ci vanno strette /Specie da quando sono derise da un umorismo di barzellette/ E siamo stanchi di sopportare quel che succede in questo paese/Dove ci tocca farci ammazzare per poco più di un milione al mese…» .


Abbiamo visto uomini dei reparti mobili feriti nel corso di violente manifestazioni di piazza essere citati nei processi come persone offese e presenziarvi quasi spaesati, sia dal punto di vista logistico che da quello procedurale (chi regge l’urto della piazza violenta è in genere alieno ai palazzi di giustizia ed ai loro riti) , perché privi dell’assistenza dell’Avvocatura di Stato o di qualsiasi altra assistenza legale. Spesso le lesioni subite nel corso delle operazioni di polizia sono risarcibile a titolo di danno biologico, senza decurtazioni a favore degli enti previdenziali , però chi lavora “su strada” altrettanto spesso non lo sa e non vi dà peso, anche perché rivolgersi agli avvocati del libero foro (quando sono disponibili) per costituirsi come parte civile ha comunque un suo costo ed un suo impegno processuale, cui non corrisponde, purtroppo, una qualsiasi forma di aiuto da parte dell’amministrazione di appartenenza.

Avremo modo di tornare sulle disfunzioni, per così dire, di sistema.

Ora riteniamo doveroso dedicare le ultime riflessioni all’uomo che indossava l’uniforme dell’Arma, al vicebrigadiere Mario Cerciello Rega.
Sposato da appena un mese e mezzo con una giovane figlia di un commissario capo in pensione della Polizia di Stato, laureata in scienze farmaceutiche ed impiegata in una farmacia abbastanza vicina alla casa che avevano preso in affitto a Roma , proprio nelle vicinanza della Stazione CC in cui prestava servizio il vicebrigadiere, si erano promessi reciprocamente nella grotta di Lourdes , dove lui era solito recarsi come barelliere. Chiunque di noi abbia avuto modo di partecipare al pellegrinaggio militare internazionale a Lourdes ha potuto constatare la totale dedizione , o meglio, il dono di sé dei barellieri alle persone accompagnate e la gioia che cercano di trasmettere loro con il sorriso anche nelle situazioni più toccanti.
La stessa dedizione di sé il vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, cattolico praticante e volontario inserito nelle organizzazioni cattoliche che si richiamano agli antichi valori della cavalleria, la trasmetteva anche ai più poveri tra i poveri di Roma, i senzatetto. Lo stesso spirito improntato all’ascolto dei fratelli lo trasmetteva ai colleghi , che considerava come fratelli; ma anche verso gli arrestati portava sempre il rispetto che si deve ad ogni persona umana.
Per questa sua professione dell’insegnamento cattolico e dei valori cavallereschi dell’Arma dei Carabinieri, la notte fatidica di due giorni fa, egli non si è sottratto al proprio dovere ed è caduto sul campo dell’Onore, grande come la sua Fede.
Per questo possiamo dire che è caduto un carabiniere ed un cavaliere cattolico.
Al suo ricordo ed a consolazione della giovane moglie e dei familiari , amici e colleghi che lo hanno amato, vadano i nostri pensieri e le nostre preghiere.

A.S.

SUICIDI NELLE FORZE DI POLIZIA - UN GRIDO D'AIUTO INASCOLTATO

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​Ancora un altro suicidio fra le fila della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, il 56° fra gli appartenenti a questo comparto, dall'inizio del 2019, sempre nel totale silenzio dei media. Una strage inesaudita che pare interessi a pochi, un grido di aiuto fino ad ora rimasto inascoltato. I nostri politici riescono ad inventare una commissione parlamentare per ogni dilemma, ma non riescono ad affrontare il problema che affligge questa società , quella rappresentata dagli uomini e le donne in divisa. I  demagoghi e gli analisti del momento hanno sempre ricondotto questo profondo malessere a problemi di natura familiare od economici, dimostrando di non conoscere la realtà di cui parlano. Alcune testate giornalistiche, L'Espresso prima, con un articolo del 30 giugno 2019, intitolato:”Il buio sotto la divisa: quell'escalation di suicidi che lo Stato non guarda”, ed il fattoquotidiano poi, con un articolo del 2 Novembre 2019 intitolato:” Suicidi fra i militari, i numeri crescono ma nessuno si interroga sulle cause”, hanno sollevato il problema, sebbene vengano uniti da una sola considerazione, l’inesistenza dello Stato innanzi a siffatti drammi. Sebbene il secondo articolo rilevi punti impliciti ed attinenti, il primo articolo pare invece lontano dalle problematiche reali insite nelle amministrazioni di cui si parla, poiché l’articolo affronta il problema superficialmente, su immoderate e generiche considerazioni , che pongono in primo piano, come si è sempre fatto fino ad oggi (mai di più errato) problemi afferenti la sfera privata e familiare, trovando una soluzione nel  reiterato supporto psicologico. Si vorrebbe forse affermare che i problemi familiari ed economici siano prevalenti nelle  famiglie degli appartenenti alle forze armate e delle forze di polizia? Nulla di più assurdo. Forse esse potranno effettivamente esistere, ma sono quasi sempre il riflesso delle condizioni ambientali vissute nell’ambito lavorativo. Ciò che ci lascia basiti è che tali affermazioni provengano da un appartenente alle forze Armate, che meglio avrebbe dovuto capire le reali esigenze dei propri colleghi e intuire, se non respirare, le problematiche esistenti all’interno delle medesime Istituzioni. Il segretario generale del SIM, Sindacato Italiano Militari, spiega che il 99 per cento dei casi è riconducibile a problemi esterni al luogo di lavoro, e che l’Arma e le altre forze lavorano col Ministero della Difesa sull’impatto “stress correlato”:fattori esterni, come pendolarismo o orari prolungati, burnout, che ognuno porta e vive dentro la propria attività lavorativa. Aggiunge: problemi privati , familiari ed economici, che sommati allo stress correlato, possono innescare una bomba (Ndr). Sembrerebbe quasi una difesa d’ufficio dell’Amministrazione d’appartenenza, senza alcun reale approfondimento dei casi. Orbene, seppur plausibile come analisi, pare poco consistente e non pregnante delle reali problematiche  vissute dagli appartenenti alle forze di polizia, perché se tali analisi fossero accettabili, si potrebbe pensare che chiunque ( ed oggi in Italia non manca la scelta ) avesse problemi economici o facesse il pendolare con orari prolungati, sarebbe esposto a possibili azioni suicide. Si potrebbe argomentare ampollosamente in maniera antitetica alla tesi esplicitata, pensando a quelli che potrebbero essere i reali problemi riguardanti gli appartenenti alle forze di Polizia. Pensiamo ad esempio la compressione dei diritti ed ai trattamenti spesso iniqui e non meritori. Si potrebbero stilare  lunghi elenchi sulle problematiche esistenti, da porre in capo alle Amministrazioni in questione, ma pare strano che queste domande non nascano spontaneamente da chi ancora indossa una divisa e dovrebbe rappresentare, con le relative sigle sindacali di categoria, la tutela dei diritti degli uomini e le donne in divisa..
Ci verrebbe da chiedere se si è  a corto di argomenti?
Ci auspichiamo che qualcosa cambi, ma soprattutto, è necessario che a dirigere queste Amministrazioni dello Stato vi siano persone più sensibili ai reali problemi dei propri uomini, che non burocrati distanti anni luce dalla realtà dei fatti.

​G.L. 

LE VIDEORIPRESE DELLE FORZE DI POLIZIA AI TEMPI DEL CORONAVIRUS ? – PICCOLO VADEMECUM ILLUSTRATIVO ,CON NORME E CASISTICA, NEL CORSO DELLE ATTIVITA’ OPERATIVE DELLE FORZE DELL’ORDINE





Dopo la pubblicazione di alcuni video sul web che hanno indotto confusioni interpretative sulle regole che armonizzano i rapporti cittadino - Forze di Polizia, abbiamo ritenuto di illustrare, con la seguente disamina, le condotte da applicare in pratica, una sorta di “vademecum” sulle norme applicabili e la relativa casistica, con l’intento di dare un contributo fattivo in tempi di enorme confusione e difficoltà quotidiane , cui contribuisce in misura notevole il “mare magnum” normativo. Andiamo per argomenti.
                                                               PRIVACY
      FOTOGRAFARE E FILMARE LE FORZE DI POLIZIA DURANTE IL SERVIZIO


L’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, con Newsletter n. 359 del 7 giugno 2012 , in risposta ad un espresso quesito posto dal Ministero dell’Interno, ha avuto modo di precisare che : « I funzionari pubblici e i pubblici ufficiali, compresi i rappresentanti delle forze di polizia impegnati in operazioni di controllo o presenti in manifestazioni o avvenimenti pubblici, possono essere fotografati e filmati, purché ciò non sia espressamente vietato dall´Autorità pubblica. L´uso delle immagini e delle riprese deve però rispettare i limiti e le condizioni dettate dal Codice in materia di protezione dei dati personali » .
Chiarito quanto sopra, resta fermo che l’Autorità pubblica può vietare le riprese (anche con intimazione orale degli Ufficiali e agenti di P.G. operanti , date le particolarità dei casi), ad esempio nei casi in cui esse possano compromettere attività di indagine e/o di sicurezza dello Stato od anche ai fini della privacy.
Dunque, assodato che non è in sé illecito riprendere le Forze di Polizia nel corso della propria attività, va altresì precisato che cosa diversa è diffondere quelle immagini, proprio perché esse costituiscono “dati personali” delle persone che vengono riprese senza consenso, delle quali deve essere tutelata la sfera personale, in pieno bilanciamento dei diritti costituzionali tutelabili.
Ed a questo riguardo, per ciò che più rileva, anche il diritto di cronaca deve essere esercitato nel rispetto dei seguenti criteri: 1) nella verità della notizia pubblicata; 2) nell’esistenza di un pubblico interesse alla conoscenza dei fatti medesimi; 3) nella obiettiva e serena esposizione della notizia.
La stessa Autorità Garante ricorda infatti che, per quanto riguarda l’utilizzazione delle immagini, è necessario prestare particolare attenzione alle condizioni ed ai limiti posti dal Codice della privacy a seconda che si tratti di circolazione di dati tra un numero ristretto di persone, diffusione in rete , ovvero utilizzo a fini diffamatori o di giustizia , sottolineando , infine, che le persone riprese senza consenso che ritengono lesi i propri diritti possono sempre far ricorso agli ordinari rimedi previsti dall’ ordinamento sia in sede civile che penale.
Non è inutile rammentare brevemente che, nel caso di eventuali ostacoli (ad es., disturbo che può verificarsi quando chi riprende si avvicina troppo e/o inveisce e/o si intromette fisicamente , ecc.) all'attività dei verbalizzanti, si può ipotizzare il reato di interruzione di pubblico servizio ai sensi dell'art.331 c.p., con l'obbligo da parte degli accertatori di interrompere il reato. In tale ipotesi - se continuato - il comportamento della persona potrebbe integrare il reato di resistenza a pubblico ufficiale, art.337 c.p.
A tal proposito giova evidenziare che per la configurabilità del reato di resistenza a P.U., non è necessario che la violenza o la minaccia sia usata sul Pubblico Ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, ma che sia soltanto posta in essere per opporsi al compimento di un atto d'ufficio (Cass. Pen. 6069/2015).
Orbene, fino a questo punto ci siamo basasti sull' orientamento indicato dal Garante della Privacy nazionale prima dell'entrata in vigore del GDPR (Regolamento UE 2016/79) , perché dopo l'emanazione del GDPR , la privacy è stata ulteriormente garantita, con ulteriori attività restrittive delle norme che regolano la materia, giusta la disposizione dell’art.6 GDPR (1)

A questo proposito, giova riportare una recente decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea su un caso verificatosi in Lettonia. Un uomo aveva filmato la sua deposizione in un commissariato e diffuso il video su YouTube. L’Agenzia lettone per la protezione dei dati aveva ordinato la rimozione del video, conclusione condivisa dai tribunali interni. Prima di decidere, la “Augstākā tiesa” (Corte suprema della Lettonia), con decisione del 1° giugno 2017 , ha rimesso la questione , ai fini dell’aderenza delle norme applicabili ai principi dell’ordinamento europeo, alla Corte di Giustizia UE . La Corte di Giustizia UE- Sezione II , con decisione 14/02/2019, C-345/17, ha stabilito che le immagini degli agenti nell’esercizio delle loro funzioni sono dati personali e per questo tutelati dalla privacy ma che la loro diffusione poteva rientrare nel diritto di cronaca anche se l’uomo non era un giornalista (2) .
La sentenza della Corte di Giustizia UE, in sostanza, ha confermato quanto affermato nel 2012 dal Garante per la Privacy italiano, e cioè: anche se non ci sono norme che vietino esplicitamente di fotografare o riprendere le forze dell’ordine, valgono le normali leggi italiane ed europee sulla privacy che impediscono di diffondere immagini di persone senza il loro consenso, a meno che la diffusione non rientri nel diritto di cronaca, a prescindere dal fatto che l’autore sia un giornalista o un semplice cittadino.
In assenza di consenso, per capirci, possono ritenersi applicabili le seguenti eccezioni: quando sono stati oscurati i volti, le voci e i dati personali, oppure se si tratti di documentare un abuso realmente grave , tale da diventare di pubblico interesse per la collettività .
Aggiungiamo che, a nostro avviso, la registrazione audio delle conversazioni fra presenti è consentita, poiché ritenuta dalla S.C. di Cassazione una possibile prova documentale utilizzabile nel dibattimento, ove assunta per precostituirsi una difesa in giudizio in caso di violazione di diritti. Concludiamo dicendo che il D.lgs 196/2003 (c.d. Codice Privacy) , così come modificato nel tempo, punisce chi diffonde illecitamente dati e immagini personali , con pene previste anche fino a sei anni di reclusione.
                                                                     IDENTIFICAZIONE
ESIBIZIONE DOCUMENTI E/O DECLINAZIONE DELLE GENERALITÀ E QUALITÀ PERSONALI

Durante le operazioni di controllo si sentono sovente i cittadini richiedere alle forze di polizia un documento che dimostri il loro status di pubblico ufficiale. Premesso che per l'operatore che indossa l'uniforme non è necessaria un'ulteriore dimostrazione circa la sua carica, al cittadino non è demandato alcun potere giuridico per porre richieste in tal senso, se non quando l'agente vesta abiti civili e, in tal caso, è fatto obbligo al P.U. di mostrare la placca identificativa (generalmente in uso ai reparti investigativi) o il tesserino di riconoscimento che lo qualifichi. Ciò premesso, illustriamo alcune norme che, con la sola lettura, possono illuminare il lettore sugli eventuali dubbi applicativi.

Art. 4 T.U.L.P.S.-« L’autorità di pubblica sicurezza ha facoltà di ordinare che le persone pericolose o sospette e coloro che non sono in grado o si rifiutano di provare la loro identità siano sottoposti a rilievi segnaletici. Ha facoltà inoltre di ordinare alle persone pericolose o sospette di munirsi, entro un dato termine, della carta di identità e di esibirla ad ogni richiesta degli ufficiali o degli agenti di pubblica sicurezza ».
Si precisa che cosa assai diversa è l’obbligo di fornire indicazioni sulla propria identità personale, rispetto al dovere di documentarle (Cass.pen., sez. I, 25 giugno 1987, n. 1769).
L'omessa esibizione del documento di identità integra, ricorrendone le condizioni, gli estremi del reato di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773art. 4, ed all'art. 294 del relativo regolamento, non già il reato previsto dall'art. 651 c.p., che sanziona invece il rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità personale (Cass. pen. , sez.I, 15/01/2019,n.2021).
L'elemento materiale del reato previsto dall'art. 651 c.p. consiste nel rifiuto di fornire indicazioni sulla propria identità e non nella mancata esibizione di un documento, che costituisce violazione dell'art. 4, comma 2, TULPS (R.D. n. 773 del 1931), con la conseguenza che l'indicazione orale delle proprie generalità è sufficiente ad escludere il reato (Tribunale Ivrea, 17/10/2016).

Art. 651 c.p.- Rifiuto d’indicazioni sulla propria identità personale
«Chiunque, richiesto da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, rifiuta di dare indicazioni sulla propria identità personale, sul proprio stato, o su altre qualità personali, è punito con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda fino a duecentosei euro».

Legge n. 1423/1956 - “Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità”.
Trattasi di soggetti che mantengono un tenore di vita ed una condotta riconducibile ad attività delittuosa ed i rilievi dattiloscopici vengono effettuati contestualmente alla notifica del provvedimento all’interessato.

Legge n. 152/1975- “Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico”
In casi eccezionali di necessità e di urgenza, che non consentono un tempestivo provvedimento dell’autorità giudiziaria, gli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria e della forza pubblica nel corso di operazioni di polizia possono procedere, oltre che all’identificazione, all’immediata perquisizione sul posto, al solo fine di accertare l’eventuale possesso di armi, esplosivi e strumenti di effrazione, di persone il cui atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche e concrete circostanze di luogo e di tempo non appaiono giustificabili.

La legge 189/2002 - “Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo” (c.d. “Bossi/Fini”)
Prevede all’art 4 e 5 l’assunzione delle impronte digitali e palmari all’extracomunitario che richiede il rilascio/rinnovo del permesso di soggiorno sul territorio nazionale.

                                                       PRATICA PROFESSIONALE
Dopo aver fatto riferimento ad alcune norme sull'obbligo dell'esibizione del documento , della declinazione delle generalità e delle qualità personali, procediamo con gli esempi pratici sulle situazioni che si possono delineare durante un controllo. (non facciamo ovviamente riferimento alle norme Costituzionali che i cittadini citano durante un controllo di Polizia, perché parrebbe fuori luogo e inopportuno).

Durante il controllo di Polizia può accadere che il cittadino rifiuti di declinare le proprie generalità ed esegua registrazioni audio video sull'operato degli agenti, riprendendo i loro volti. L'agente può intimare l'interruzione della registrazione e/o, comunque, invitare a inclinare il cellulare affinché non riprenda i volti e gli armamenti. Come già detto, la ripresa audio non dovrebbe essere atto illecito (sempre che il suo autore non intralci di fatto,fisicamente, l’attività degli operatori) .
A questo punto l'utente potrebbe tentennare e riferire di non essere in possesso di alcun documento e, qualora vi siano dubbi sull'identità e si palesi la necessità di procedere compiutamente alla sua identificazione, si può accompagnare presso gli uffici di polizia ai sensi dell'art. 11 D.L. 59/78 conv. in Legge 191/78 3.
Qualora invece l'utente rifiuti di esibire la Carta di identità e di fornire le proprie generalità, si rende responsabile del reato, in concorso materiale, previsto dall'art. 4 T.U.L.P.S. e dall’art. 651 del c.p. Da indagato, quale soggetto sottoposto ad indagini, può essere coattivamente accompagnato presso gli uffici di polizia ai sensi dell'art.349 c.p.p, per dare corso alle procedure di rito (identificazione, foto segnalamento, etcc.).
Assume la medesima posizione chi non adempie all'ordine dell'autorità di interrompere la ripresa video (può essere in diretta) o la registrazione, per violazione dell'art.167 del D.Lgs 196/2003. Non si esclude l'ipotesi sancita dall'art. 650 c.p. (Inosservanza dei provvedimenti dell’autorità) , qualora si ravvisino ragioni inerenti la Sicurezza pubblica, l'ordine pubblico, ragioni di giustizia o di igiene.
In ipotesi simili, La Corte di Cassazione, prima sez. pen, con sentenza n. 9446/2018, ha ritenuto ammissibile il sequestro del cellulare a fini probatori di chi abbia scattato fotografie ad un soggetto che non avesse espresso il proprio consenso, ipotizzando la configurabilità del reato di cui all'art. 660 c.p. (molestia o disturbo alle persone).
Riteniamo pertanto che anche nella situazione anzidetta , qualora non si dia seguito all' intimazione del Pubblico Ufficiale , oltre alla violazione penale di cui all'art. 167 D.Lgs 196/2003, si presupporrebbe la sussistenza del reato di cui agli artt. 650 e 660 c.p. ipotesi contravvenzionale, quest' ultima, assorbita dal reato di cui all'art 370 del c.p. (resistenza a pubblico ufficiale). La ratio prevederebbe, pertanto, la facoltà di procedere al sequestro del cellulare ai fini probatori se il video venisse registrato ed ai fini preventivi se la ripresa avvenisse in diretta.

Un’ ultima considerazione , che al tempo stesso è una raccomandazione e un consiglio .

Occorre in tutte le circostanze operare con la massima professionalità nell’attività di pattugliamento, a cominciare dall’abbigliamento e dalle dotazioni in ordine, dal saluto militare e dalla cortesia nelle richieste: già questo , in molti casi, potrebbe indurre il cittadino ad non abusare delle proprie prerogative ed a lasciare “in fondina”, per così dire, lo smartphone. In ogni caso, mai dimenticare a casa due “strumenti” fondamentali: pazienza e buon senso.

G.L. - A.S.

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1 Art.6 GDPR - Liceità del trattamento
1. Il trattamento è lecito solo se e nella misura in cui ricorre almeno una delle seguenti condizioni:
a) l'interessato ha espresso il consenso al trattamento dei propri dati personali per una o più specifiche finalità;
b)il trattamento è necessario all'esecuzione di un contratto di cui l'interessato è parte o all'esecuzione di misure precontrattuali adottate su richiesta dello stesso;
c)il trattamento è necessario per adempiere un obbligo legale al quale è soggetto il titolare del trattamento;
d)il trattamento è necessario per la salvaguardia degli interessi vitali dell'interessato o di un'altra persona fisica;
e)il trattamento è necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento;
f)il trattamento è necessario per il perseguimento del legittimo interesse del titolare del trattamento o di terzi, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell'interessato che richiedono la protezione dei dati personali, in particolare se l'interessato è un minore.
La lettera f) del primo comma non si applica al trattamento di dati effettuato dalle autorità pubbliche nell'esecuzione dei loro compiti.
2.Gli Stati membri possono mantenere o introdurre disposizioni più specifiche per adeguare l'applicazione delle norme del presente regolamento con riguardo al trattamento, in conformità del paragrafo 1, lettere c) ed e), determinando con maggiore precisione requisiti specifici per il trattamento e altre misure atte a garantire un trattamento lecito e corretto anche per le altre specifiche situazioni di trattamento di cui al capo IX.
3.La base su cui si fonda il trattamento dei dati di cui al paragrafo 1, lettere c) ed e), deve essere stabilita:
a)dal diritto dell'Unione; o
b)al diritto dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento.
La finalità del trattamento è determinata in tale base giuridica o, per quanto riguarda il trattamento di cui al paragrafo 1, lettera e), è necessaria per l'esecuzione di un compito svolto nel pubblico interesse o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento. Tale base giuridica potrebbe contenere disposizioni specifiche per adeguare l'applicazione delle norme del presente regolamento, tra cui: le condizioni generali relative alla liceità del trattamento da parte del titolare del trattamento; le tipologie di dati oggetto del trattamento; gli interessati; i soggetti cui possono essere comunicati i dati personali e le finalità per cui sono comunicati; le limitazioni della finalità, i periodi di conservazione e le operazioni e procedure di trattamento, comprese le misure atte a garantire un trattamento lecito e corretto, quali quelle per altre specifiche situazioni di trattamento di cui al capo IX. Il diritto dell'Unione o degli Stati membri persegue un obiettivo di interesse pubblico ed è proporzionato all'obiettivo legittimo perseguito.
4. Laddove il trattamento per una finalità diversa da quella per la quale i dati personali sono stati raccolti non sia basato sul consenso dell'interessato o su un atto legislativo dell'Unione o degli Stati membri che costituisca una misura necessaria e proporzionata in una società democratica per la salvaguardia degli obiettivi di cui all'articolo 23, paragrafo 1, al fine di verificare se il trattamento per un'altra finalità sia compatibile con la finalità per la quale i dati personali sono stati inizialmente raccolti, il titolare del trattamento tiene conto, tra l'altro:
a)di ogni nesso tra le finalità per cui i dati personali sono stati raccolti e le finalità dell'ulteriore trattamento previsto;
b)del contesto in cui i dati personali sono stati raccolti, in particolare relativamente alla relazione tra l'interessato e il titolare del trattamento;
c)della natura dei dati personali, specialmente se siano trattate categorie particolari di dati personali ai sensi dell'articolo 9, oppure se siano trattati dati relativi a condanne penali e a reati ai sensi dell'articolo 10;
d)delle possibili conseguenze dell'ulteriore trattamento previsto per gli interessati;
e)dell'esistenza di garanzie adeguate, che possono comprendere la cifratura o la pseudonimizzazione.
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(2) Corte Giustizia dell’ Unione Europea, Sez. II, 14/02/2019, n.C- 345/17 , Parti: Sergejs Buivids c. Datu valsts inspekcija: «L'articolo 9 della direttiva 95/46 deve essere interpretato nel senso che la registrazione video di taluni agenti di polizia all'interno di un commissariato, durante la raccolta di una deposizione, e la pubblicazione del video così registrato su un sito Internet dove gli utenti possono inviare, visionare e condividere contenuti video, possono costituire un trattamento di dati personali esclusivamente a scopi giornalistici, ai sensi di tale disposizione, sempre che da tale video risulti che detta registrazione e detta pubblicazione abbiano quale unica finalità la divulgazione al pubblico di informazioni, opinioni o idee, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
L'immagine di una persona registrata da una telecamera costituisce un «dato personale» ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della direttiva 95/46, se ed in quanto essa consente di identificare la persona interessata.
Onde tener conto dell'importanza riconosciuta alla libertà d'espressione in ogni società democratica, occorre interpretare in senso ampio le nozioni ad essa correlate, tra cui quella di giornalismo. Le «attività giornalistiche» in particolare sono quelle dirette a divulgare al pubblico informazioni, opinioni o idee, indipendentemente dal mezzo di trasmissione utilizzato.
Le esenzioni e le deroghe di cui all'articolo 9 della direttiva 95/46 devono essere applicate solo nella misura in cui siano necessarie per conciliare due diritti fondamentali, vale a dire il diritto alla protezione della vita privata e alla libertà di espressione. Quindi, per ottenere un equilibrato contemperamento di questi due diritti fondamentali, la tutela del diritto fondamentale alla vita privata richiede che le deroghe e le limitazioni alla protezione dei dati previste ai capi II, IV e VI della direttiva 95/46 operino entro i limiti dello stretto necessario ».
3Decreto legge 21/03/1978, n. 59 ( Norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati) convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 18 maggio 1978, n. 191
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Decreto legge 21/03/1978, n. 59
 ( Norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi reati) convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 18 maggio 1978, n. 191
Art.11
Gli ufficiali e gli agenti di polizia possono accompagnare nei propri uffici chiunque, richiestone, rifiuta di dichiarare le proprie generalità ed ivi trattenerlo per il tempo strettamente necessario al solo fine dell'identificazione e comunque non oltre le ventiquattro ore.
La disposizione prevista nel comma precedente si applica anche quando ricorrono sufficienti indizi per ritenere la falsità delle dichiarazioni della persona richiesta sulla propria identità personale o dei documenti d'identità da essa esibiti.
Dell'accompagnamento e dell'ora in cui è stato compiuto è data immediata notizia al procuratore della Repubblica, il quale, se riconosce che non ricorrono le condizioni di cui ai commi precedenti, ordina il rilascio della persona accompagnata.
Al procuratore della Repubblica è data altresì immediata notizia del rilascio della persona accompagnata e dell'ora in cui è avvenuto.