Avv.
Francesco Pandolfi
Cassazionista
diffamazione
militare aggravata, diritto di critica.
Una bellissima
sentenza della Corte di Cassazione sezione 1 penale ( la
n. 36045 del 20.08.2014 ), ove il militare viene ritenuto non
colpevole perché trattasi di fatto non punibile ai sensi
dell'articolo 51 c.p. in relazione alla diffamazione nei
confronti dello (OMISSIS) e perche' il fatto non costituisce reato in
relazione alla diffamazione nei confronti del (OMISSIS).
In fatto, la
Corte di cassazione ha annullato con rinvio la sentenza della Corte
militare di appello in data 14 marzo 2012, con cui era stata
confermata la condanna, condizionalmente sospesa, di (OMISSIS)
-militare in servizio presso il Nucleo di Polizia Tributaria
della Guardia di Finanza di xxx -per il reato di diffamazione
militare aggravata, ridotta la pena a quattro mesi di
reclusione militare e confermata la decisione del primo giudice
quanto alle restanti conseguenze di legge nonche' alla condanna al
risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita,
(OMISSIS), Comandante all'epoca dei fatti di quel Nucleo.
Al (OMISSIS)
era stato contestato, in riferimento all'articolo 47 c.p.m.p., comma
1, n. 2 e articolo 227 c.p.m.p., commi 1, 2 e 3, di avere pubblicato
in data (OMISSIS), mediante uno pseudonimo, sul forum del sito
Internet (OMISSIS) un messaggio contenente giudizi ed affermazioni
non veritieri offensivi della reputazione della Guardia di Finanza,
del Comandante Provinciale di (OMISSIS) Col. (OMISSIS), del
Comandante del Nucleo di Polizia Tributaria di (OMISSIS) Magg.
(OMISSIS) e segnatamente affermando "il Nucleo di P. T. di
(OMISSIS) e' ormai giunto al collasso: gli ufficiali che lo dirigono,
su input del Comandante Provinciale ... Esercitano con continuita' e
sistematicita' un'azione vessatoria nei confronti del personale ...
parlo dell'atteggiamento violento e persecutorio attuato da parte di
questi ufficiali della (OMISSIS)".
La Corte di
merito, nel precedente giudizio d'appello aveva ritenuto non
indispensabile la rinnovazione dibattimentale chiesta dall'appellante
con riguardo al tema della veridicita' dei fatti narrati nel post,
assumendo che non era stata contestata l'aggravante dell'attribuzione
di fatti determinati e che le espressioni utilizzate non potevano
comunque ritenersi compatibili con il diritto di critica,
giacche' il post non faceva riferimento solo ad un atteggiamento
prevaricatorio degli ufficiali, bensi' a concetti piu' gravi
(vessazione, violenza e persecuzione), addirittura aggiungendo un
paragone con la (OMISSIS), sicche' era in ogni caso ampiamente
superato il limite della continenza.
I motivi di
ricorso articolati al proposito venivano ritenuti fondati dalla
Cassazione, che osservava:
I giudici di merito hanno del tutto svalorizzato il dato della non veridicita' dei fatti narrati, benche' il richiamo ad essa fosse presente nell'imputazione, che faceva riferimento a "giudizi ed affermazioni non veritieri offensivi della reputazione..."; la Corte risolve sbrigativamente la questione, rilevando che non era stata contestata all'imputato l'aggravante dell'attribuzione di fatti determinati.
I giudici di merito hanno del tutto svalorizzato il dato della non veridicita' dei fatti narrati, benche' il richiamo ad essa fosse presente nell'imputazione, che faceva riferimento a "giudizi ed affermazioni non veritieri offensivi della reputazione..."; la Corte risolve sbrigativamente la questione, rilevando che non era stata contestata all'imputato l'aggravante dell'attribuzione di fatti determinati.
La questione
della veridicita' dei fatti narrati deve essere diversamente
valutata: per quanto compreso, il messaggio completo conteneva
l'indicazione di fatti specifici, cosicche' - benche' (evidentemente
per un errore materiale) l'intero contenuto del messaggio non sia
stato inserito nell'imputazione - la valutazione delle espressioni
menzionate nel capo di imputazione non puo' prescindere dal resto del
messaggio; in altre parole, se, ad esempio, il messaggio conteneva
l'indicazione specifica di episodi di vessazione, risulta illogica
una valutazione astratta come quella operata dalla Corte, secondo cui
l'uso della parola "vessazione" e' diffamatoria in ogni
caso.
Questo vale
anche per il riferimento alla "(OMISSIS)": espressione
certamente forte, ma che potrebbe assumere una diversa valenza nel
caso fossero provate condotte come quelle menzionate nella missiva
del brigadiere (OMISSIS), che riferisce di impiego indebito di un
militare disabile da parte degli ufficiali (OMISSIS) e
(OMISSIS).
La rilevanza
della questione riguarda sia la valutazione del rispetto del criterio
di continenza, dovendosi riconoscere anche ai militari della Guardia
di Finanza il diritto costituzionale di critica che,
peraltro, deve essere esercitato secondo i limiti generali elaborati
dalla giurisprudenza di questa Corte, sia - nel caso il giudice
ritenesse non rispettato il limite della continenza - la valutazione
complessiva della responsabilita' dell'imputato e, quindi, della
determinazione della pena: ad esempio, potrebbe non risultare piu'
aderente al fatto e alla personalita' dell'imputato la valutazione
sull'intensita' del dolo operata dalla Corte per negare la prevalenza
delle attenuanti generiche sulle aggravanti ritenute.
La sentenza
impugnata veniva dunque annullata con riferimento alla mancata
riapertura dell'istruzione dibattimentale, limitatamente alla
questione della veridicita' dei fatti narrati nel messaggio, nonche'
alla valutazione della natura diffamatoria del messaggio.
La Corte di
appello militare, quale giudice del rinvio, disponeva la riapertura
dell'istruzione dibattimentale; acquisiva in originale la lettera a
firma di (OMISSIS) e i documenti prodotti dall'imputato, concernenti
la documentazione medica e la determinazione del comandante generale
della Guardia di Finanza relativa alla parziale inidoneita' del
militare(OMISSIS) nonche' gli ordini servizio allo stesso relativi;
procedeva all'audizione dei testi (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e
(OMISSIS).
All'esito, in
parziale riforma della sentenza di primo grado, assolveva l'imputato
dal reato contestato limitatamente alle frasi esercitano con
continuita' e sistematicita' un'azione vessatoria, atteggiamento
violento e persecutorio, per l'ingrato compito di (OMISSIS), riferite
al maggiore (OMISSIS), con la formula "perche' il fatto non
costituisce reato"; riconosceva all'imputato le circostanze
attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti; confermava per il
resto la sentenza di condanna del Tribunale ma diminuiva la pena a
mesi due di reclusione militare e riduceva il risarcimento del
danno liquidato in favore della parte civile (OMISSIS) alla misura
complessiva di euro 500.
A ragione,
premesso che la diffamazione contestata si componeva in realta' di
due condotte in concorso formale, l'una ai danni dello (OMISSIS),
l'altra del (OMISSIS), rilevava che solo per la prima poteva
ritenersi dimostrata la veridicita' dei fatti riportati.
Da quanto
accertato emergeva difatti che effettivamente erano stati effettuati
dallo (OMISSIS) i fatti riferiti nel post, di cui avevano dato
conferma i testimoni, consistenti: nei continui e ripetuti controlli
a sorpresa; nell'utilizzo a tal fine di personale distolto dai
compiti di servizio; nelle ispezioni personalmente effettuate per
verificare che nessuno consumasse un qualche alimento durante il
servizio (anche annusando l'aria e controllando i cestini getta
carte); nel frazionamento dei servizi esterni per impedire la
fruizione di buoni pasti; infine
(ma
soprattutto) nella destinazione e nell'impiego del militare (OMISSIS)
a servizi esterni dai quali era esonerato per grave invalidita' e che
risultavano incompatibili con le sue condizioni di salute.
Tali condotte
potevano fondatamente qualificarsi ingiustificate e vessatorie, in
quanto oppressive, moleste e finanche persecutorie, oltre che
violente (almeno dal punto di vista morale) e lesive della dignita'
morale del sottoposto con riferimento all'impiego del (OMISSIS) in
servizi non consoni alla sua condizione di invalido per ragioni di
servizio.
Adeguata alla
ricostruzione dei controlli demandati dallo (OMISSIS) ai
sottoufficiali, poteva ritenersi inoltre la frase che richiamava
l'ingrato compito di (OMISSIS).
Non
altrettanto, ad avviso della Corte di merito, poteva dirsi per le
frasi (OMISSIS), stato di terrore e angherie, usate nel messaggio,
che trascendevano la realta' e la continenza e si risolvevano in
(pura) denigrazione della persona.
Con
riferimento al (OMISSIS), invece, non poteva per nessun aspetto
parlarsi di esercizio del diritto di critica, giacche' non
risultava affatto provato che le condotte trasbordanti le esigenze di
disciplina e di servizio fossero state da lui poste in essere. I
militari (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano riferito che dei comportamenti
dello (OMISSIS) era stato messo a conoscenza anche il comandante
provinciale (OMISSIS), ma questo non significava che lo stesso avesse
posto in essere quel tipo di condotte o che le avesse anche solo in
parte giustificate. E non v'era prova che (OMISSIS) non avesse in
qualche modo cercato di ostacolare l'atteggiamento dello (OMISSIS)
(sul punto non erano state rivolte domande al (OMISSIS) e quelle
poste allo (OMISSIS) non erano state ammesse).
Ha proposto
ricorso il (OMISSIS), personalmente, chiedendo l'annullamento della
sentenza di condanna.
Con il primo
motivo denunzia violazione della legge processuale mancanza,
contraddittorieta' - anche esterna, rispetto agli atti acquisiti - e
manifesta illogicita' della motivazione con riferimento alla
esclusione della verita' dei fatti e all'esercizio del diritto di
critica in relazione alle accuse mosse al comandante (OMISSIS).
Tutti testi
(non i soli (OMISSIS) e (OMISSIS) come aveva riconosciuto la stessa
sentenza impugnata, ma anche, espressamente, (OMISSIS) e (OMISSIS),
come emergeva dai verbali allegati) avevano concordemente riferito
che l'appuntato (OMISSIS) veniva adibito a servizi esterni sia dallo
(OMISSIS) sia dal (OMISSIS), e dagli stessi ordini di servizio
prodotti, citati a pag. 22 della sentenza impugnata (e allegati al
ricorso), emergeva il coinvolgimento del (OMISSIS), che aveva
personalmente sottoscritto la maggior parte di detti ordini di
servizio.
Era dunque patentemente illogico ritenere non dimostrato che il medesimo comportamento definito violento e persecutorio, era stato posto in essere anche dal (OMISSIS).
Era dunque patentemente illogico ritenere non dimostrato che il medesimo comportamento definito violento e persecutorio, era stato posto in essere anche dal (OMISSIS).
Con il
secondo motivo denunzia violazione di legge sostanziale e processuale
onche' mancanza e vizi della motivazione, con riferimento alla
ritenuta valenza diffamatoria delle espressioni (OMISSIS), stato di
terrore, spirale di angherie.
La stessa
Cassazione, nella sentenza di annullamento, aveva evidenziato che la
prima espressione poteva assumere valenza non diffamatoria ove
fossero risultati veri gli episodi denunciati. L'esclusione della
scriminante del diritto di critica con riferimento a dette
espressioni cozzava d'altro canto con il riconoscimento che i
comportamenti posti in essere dal comandante erano violenti,
vessatori e persecutori, dunque anche contrari alla legge, specie ove
riferiti a quanto concerneva l'atteggiamento adottato nei confronti
del (OMISSIS). Ingiustificatamente s'era omesso di considerare
quindi: da un lato che vessazioni e angherie sono, nell'uso corrente,
sinonimi; dall'altro che la stessa sentenza riconosceva che tutti i
militari pativano con ansia i controlli ricordati, esisteva un
generalizzato malcontento, erano stati manifestati sdegno e paura.
Ciò
premesso,
osserva il
Collegio che il ricorso appare, nei termini che verranno
precisati, fondato.
Va brevemente
ricordato che lo scritto pubblicato tramite internet dall'imputato
era composto da una parte in cui si riferivano determinati
comportamenti dei comandanti, territoriale e provinciale, del nucleo
di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Lecce, da altra in
cui si commentavano e definivano in termini aspramente negativi e
decisamente, dal punto di vista oggettivo, offensivi, tali
comportamenti.
I giudici del
merito, nelle precedenti fasi, avevano ritenuto che l'obiettiva
gravita' e la pesantezza di tali definizioni e commenti, ritenuti di
per se' eccedenti la continenza, rendevano superfluo l'accertamento
sulla verita' dei fatti cui dette critiche si riferivano.
La sentenza
di annullamento con rinvio, facendo applicazione dei consolidati
principi in tema di diritto alla libera manifestazione del
pensiero, in genere, e di diritto di denunzia e di critica in
particolare, ha imposto ai giudici del merito di verificare la
verita' dei fatti narrati, cosi' spazzando via ogni dubbio sulla
astratta possibilita' di ritenere scriminabili le critiche, anche
esasperate, formulate nel post alla luce degli eventuali esiti di
tale accertamento.
Disposta
l'audizione dei testimoni richiesti dalla difesa dell'imputato, e
acquisiti i documenti che questo aveva chiesto di produrre, la Corte
di appello ha ritenuto che quanto alle condotte poste materialmente
in essere dallo (OMISSIS), lo scritto dell'imputato dicesse, dal
punto di vista obiettivo, la verita'.
In
particolare ha rilevato che lo stesso era l'autore di particolari
modalita' esplicative del proprio comando ... non ortodosse ne' ...
giustificate da reali ragioni oggettive; che pretendeva fossero
effettuati controlli del personale in servizio anche piu' volte al
giorno, in modo seriale e ripetitivo, giungendo persino alla
verifica, con una sorta di schedatura, delle momentanee assenze per
l'uso dei servizi igienici e del consumo di cibo da asporto; che ad
assumere l'ingrata veste di controllori erano costretti gli stessi
militari in forza al nucleo; che il personale viveva in modo
ansiogeno tali metodi esasperati di presunta disciplina; che il
malcontento era generale; che l'appuntato (OMISSIS), affetto da grave
invalidita' e formalmente esonerato dai servizi esterni, era stato
effettivamente comandato e impiegato in servizi esterni gravosi,
durati sino a nove ore consecutive, senza alcuna necessita' legata a
carenze di organico; che tutti i militari sentiti avevano riferito
con sdegno gli episodi relativi al collega.
In altri
termini, secondo la sentenza impugnata: era risultato sicuramente
vero che il maggiore (OMISSIS) stesse esercitando con continuita' e
sistematicita' una azione vessatoria nei confronti del personale,
effettuando sullo stesso un controllo in modo stabile e ininterrotto
attraverso condotte oppressive, moleste, finanche persecutorie. E
l'utilizzazione a turno di colleghi per i controlli giornalieri era
evidentemente indicativo della volonta' di creare dissapori.
Del pari,
secondo la Corte di appello, corrispondeva al vero che lo (OMISSIS)
tenesse comportamenti violenti e persecutori, essendo senza dubbio da
qualificare comportamento violento e persecutorio (quantomeno dal
punto di vista morale) il fatto di adibire a turni esterni di
servizio, anche notturni e prolungati ... un militare affetto da
grave invalidita' riconosciuta come dipendente da causa di servizio
... che lo costringeva ad utilizzare i servizi igienici con frequenza
di gran lunga superiore alla normalita'; sicche' quella posta in
essere era senza dubbio condotta violenta ... lesiva della dignita'
morale del lavoratore e persecutoria, perche' realizzata non una sola
volta ma in ben diciassette episodi, tutti ingiustificati perche' il
militare ... poteva essere sostituito.
Su questa
base, con riferimento alla diffamazione del maggiore (OMISSIS), la
sentenza impugnata ha ritenuto giustificate alcune delle espressioni
usate (esercitano con continuita' e sistematicita' un'azione
vessatoria, atteggiamento violento e persecutorio, per l'ingrato
compito di (OMISSIS)), assolvendo per esse l'imputato, ma non altre,
quali (OMISSIS), stato di terrore, angherie, ritenendole eccedenti la
continenza e attacchi non consentiti alla persona.
Cosi'
facendo e' tuttavia incorsa in un duplice errore.
In primo
luogo ha male interpretato la giurisprudenza di questa Corte che,
richiamandosi alla giurisprudenza costituzionale ed europea,
considera in ogni caso non consentito dal diritto di critica
reso legittimo dalla funzione pubblica esercitata dal soggetto
criticato e dall'interesse pubblico della notizia, l'attacco "alla
persona": da intendersi pero' quale offesa rivolta, senza
ragione, alla sfera privata, non coinvolta dall'ambito di pubblica
rilevanza della notizia, mediante l'utilizzo di non pertinenti
argumenta ad hominem (tra moltissime: Sez. 5, n. 3477 del 8/02/2000,
Rv. 215577; Sez. 5 n. 38448 del 26/10/2001, Rv. 219998; Sez. 5, sent.
n. 10135 del 12/03/2002, Rv. 221684; Sez. 5, n. 13264 del 2005; Sez.
5, n. 4938 del 28/10/2010, Rv. 249239).
Nel caso in
esame, invece, nessuno degli epiteti o delle frasi ritenute offensive
si rivolge alle persone offese in quanto uomini, e cioe' al loro
privato, tutte concernendo la funzione svolta e il criticato loro
modo d'intendere la disciplina militare e la potesta' di comando
(in senso analogo, v. Sez. 5, n. 29433 del 16/05/2007, Mancuso, Rv.
236839).
In secondo
luogo ha sostanzialmente ridotto la facolta' di critica alla
esposizione dei fatti e alla loro puntuale, esatta illustrazione e
definizione.
A differenza
della cronaca, del resoconto, della mera denunzia, la critica si
concretizza nella manifestazione di un'opinione (di un giudizio
valutativo). E' vero che essa presuppone in ogni caso un fatto che e'
assunto ad oggetto o a spunto del discorso critico, ma il giudizio
valutativo, in quanto tale, e' diverso dal fatto da cui trae spunto e
a differenza di questo non puo' pretendersi che sia "obiettivo"
e neppure, in linea astratta, "vero" o "falso".
La critica
postula, insomma, fatti che la giustifichino e cioe', normalmente, un
contenuto di veridicita' limitato alla oggettiva esistenza dei dati
assunti a base delle opinioni e delle valutazioni espresse
(Sez. 5, n. 13264 del 16/03/2005, non massimata; Sez. 5, n. 20474 del
14/02/2002, Rv. 221904; Sez. 5, n. 7499 del 14/02/2000, Rv. 216534),
ma non puo' pretendersi che si esaurisca in essi.
In altri
termini, come rimarca la giurisprudenza CEDU la liberta' di esprimere
giudizi critici, cioe' "giudizi di valore", trova il solo,
ma invalicabile, limite nella esistenza di un "sufficiente
riscontro fattuale" (Corte EdU, sent. del 27.10.2005 caso
Wirtshafts-Trend Zeitschriften-Verlags Gmbh c. Austria rie. n
58547/00, nonche' sent. del 29.11.2005, caso Rodrigues c. Portogallo,
ric. n 75088/01), ma al fine di valutare la giustificazione di una
dichiarazione contestata, e' sempre necessario distinguere tra
dichiarazioni di fatto e giudizi di valore, perche', se la
materialita' dei fatti puo' essere provata, l'esattezza dei secondi
non sempre si presta ad essere dimostrata (Corte EdU, sent. del
1.7.1997 caso Oberschlick c/Austria par. 33).
Nella zona
tra cio' che e' sicuramente "fatto", la sua
rappresentazione connotata da aspetti valutativi, la valutazione,
infine, spiccatamente critica, si colloca quindi della continenza,
che concerne un aspetto sostanziale e un profilo formale.
La continenza
sostanziale, o "materiale", attiene alla natura e alla
latitudine dei fatti riferiti e delle opinioni espresse, in relazione
all'interesse pubblico alla comunicazione o al diritto-dovere di
denunzia.
La continenza
sostanziale ha dunque riguardo alla quantita' e alla selezione
dell'informazione in funzione del tipo di resoconto e
dell'utilita'/bisogno sociale ad esso.
L'aspetto non
viene pero' in considerazione nel caso in esame, in cui neppure i
giudici del merito hanno mai dubitato, e non puo' in astratto
dubitarsi, che esisteva non solo un diritto, ma addirittura un
dovere militare, e civico, alla denunzia di comportamenti contrari ad
una amministrazione della disciplina militare in senso
compatibile con l'assetto democratico dell'apparato statuale e con i
principi costituzionali che regolano l'ordinamento delle Forze armate
(articolo 53 Cost).
La continenza
formale attiene invece al modo con cui il racconto sul fatto e' reso
o il giudizio critico esternato, e cioe' alla qualita' della
manifestazione. E per lo piu' riguarda, come nel caso in esame,
proprio il giudizio critico, poco spazi di "originalita'"
descrittiva consentendo di regola i fatti. Essa postula dunque una
forma espositiva proporzionata, "corretta" in quanto non
ingiustificatamente sovrabbondante al fine del concetto da
esprimere.
Questo comporta che le modalita' espressive non devono essere gratuitamente offensive, o, come detto prima, mere contumelie. Tuttavia coloriture e iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o persino gergale, non possono considerarsi di per se' punibili quando siano proporzionati e funzionali all'opinione o alla protesta da esprimere.
La diversita' dei contesti nei quali si svolge la critica, cosi' come la differente responsabilita' e funzione, specie se pubblica, dei soggetti ai quali la critica e' rivolta, possono quindi giustificare attacchi di grande violenza se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi (Sez. 5, n. 45163 del 2/10/2001, Rv. 221013; Sez. 5, n. 22031 del 24/04/2003, Rv. 224674; Sez. 5, n. 19334 del 5.3.2004, Rv. 227754). Sono, in definitiva, gli interessi in gioco che segnano la "misura" delle espressioni consentite.
D'altronde, come ricorda la giurisprudenza CEDU, il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni non concerne unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti, alla cui manifestazione nessuno mai s'opporrebbe, ma e' al contrario principalmente rivolta a garantire la liberta' proprio delle opinioni che urtano, scuotono o inquietano.
Questo comporta che le modalita' espressive non devono essere gratuitamente offensive, o, come detto prima, mere contumelie. Tuttavia coloriture e iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o persino gergale, non possono considerarsi di per se' punibili quando siano proporzionati e funzionali all'opinione o alla protesta da esprimere.
La diversita' dei contesti nei quali si svolge la critica, cosi' come la differente responsabilita' e funzione, specie se pubblica, dei soggetti ai quali la critica e' rivolta, possono quindi giustificare attacchi di grande violenza se proporzionati ai valori in gioco che si ritengono compromessi (Sez. 5, n. 45163 del 2/10/2001, Rv. 221013; Sez. 5, n. 22031 del 24/04/2003, Rv. 224674; Sez. 5, n. 19334 del 5.3.2004, Rv. 227754). Sono, in definitiva, gli interessi in gioco che segnano la "misura" delle espressioni consentite.
D'altronde, come ricorda la giurisprudenza CEDU, il diritto di esprimere liberamente le proprie opinioni non concerne unicamente le idee favorevoli o inoffensive o indifferenti, alla cui manifestazione nessuno mai s'opporrebbe, ma e' al contrario principalmente rivolta a garantire la liberta' proprio delle opinioni che urtano, scuotono o inquietano.
E cio' tanto
piu' ove dette opinioni veementi siano rivolte a soggetti che
detengono o rappresentano un potere pubblico.
Nel caso in
esame, pertanto, termini ed espressione quali "angherie",
"(OMISSIS)", "stato di terrore", usati in senso
non storico - letterale ma come figurato, evocative di gestioni
esasperate e odiosamente antidemocratiche del potere poliziesco,
costituiscono certamente esagerazioni, volte a scuotere, urtare e
inquietare i destinatari. Ma, accompagnate come sono
dall'illustrazione di adeguata base fattuale che consente di
intenderle nel loro giusto valore di espediente retorico, non possono
considerarsi estranee al diritto di critica.
Per tali
ragioni, con riferimento a tutti gli aspetti della diffamazione
contestata ai danni del maggiore (OMISSIS), la sentenza impugnata
deve essere annullata senza rinvio, perche' l'imputato ha
agito nell'ambito del diritto di denunzia e del diritto di
critica ed e' percio' scriminato ai sensi dell'articolo 51 c.p. e
dall’art. 21 Cost.
Per quanto
concerne la diffamazione ai danni del comandante (OMISSIS), la Corte
di appello si e' risolta invece a confermare la condanna del
ricorrente sul rilievo che non risultava provato che le condotte
trasbordanti le esigenze di disciplina e di servizio fossero state
anche da lui (materialmente) poste in essere e che, seppure i
militari ascoltati (in parte motiva si fa riferimento ai testi
(OMISSIS) e (OMISSIS), ma nella parte in fatto si da atto che gli
altri militari avevano reso dichiarazioni in tutto coincidenti)
avevano riferito che dei comportamenti dello (OMISSIS) era stato
messo a conoscenza anche il comandante provinciale (OMISSIS), cio'
non bastava a dimostrare che quel tipo di condotte fossero riferibili
anche al (OMISSIS) o che il (OMISSIS) le avesse, anche solo in parte,
giustificate.
Cosi'
argomentando, tuttavia, effettivamente la sentenza impugnata omette
di fare riferimento alcuno agli ordini di servizio che, pure,
riferisce versati in atti e che, relativi all'assegnazione del
(OMISSIS) a servizi esterni e firmati da (OMISSIS), sono allegati in
copia al ricorso, ma che questa Corte non puo' direttamente
apprezzare quantomeno perche' la mera controfirma ad opera del
comandante del nucleo provinciale andrebbe valutata assieme agli
altri elementi acquisiti per trarne la sua sicura consapevolezza in
ordine alla situazione personale del comandato e all'illegittimita',
percio', dell'ordine direttamente impartito.
Dalla
motivazione della sentenza impugnata emerge pero', in relazione alla
posizione del (OMISSIS) e ai fini della valutazione della
diffamazione nei suoi confronti, altra piu' decisiva omissione. La
Corte di appello, difatti, ha escluso che in sede giudiziale fosse
stata raggiunta la certezza della verita' dei fatti addebitati nello
scritto dell'imputato al (OMISSIS), ricordando persino che alcune
domande rivolte a tal fine al teste non erano state ammesse in primo
grado. Ma non si e' in alcun modo posta il problema della
configurabilita' putativa, alla luce di quanto emerso, dell'esimente.
Dalla
mancanza di certezza in ordine alla falsita' (non verita') della
notizia (anche ove dovesse risolversi nel mero dubbio del
giudicante), va tenuto infatti distinto il problema della acquisita
opposta certezza dell'agente: anche ove fosse appurato che la notizia
non puo' ritenersi vera (e' falsa), se risulta pero' che l'agente
l'ha diffusa nella ragionevole e giustificabile convinzione che lo
fosse, il fatto (anche a stare alla radicata elaborazione
giurisprudenziale secondo cui, per quanto promani dal diritto alla
liberta' di manifestazione del "proprio pensiero", e'
connaturale al diritto di cronaca evocabile per il tramite
dell'articolo 51 c.p. la necessita' di "obiettiva"
verita' della notizia) non e' punibile, perche' nulla consente di
escludere che la regola dettata dall'articolo 59 c.p., comma 4 trovi
interamente applicazione con riferimento all'esercizio del diritto in
esame (tra molte, Sez. 5, n. 15643 del 11/03/2005, Scalfari, Rv.
232134).
Nel caso in
esame non puo' dunque non riconoscersi immediata evidenza e rilevanza
decisiva: da un lato, alla obiettiva esistenza di ordini di servizio
a firma (OMISSIS) e alla circostanza che i testi hanno confermato che
il (OMISSIS) era stato informato del comportamento del maggiore
(OMISSIS), anche nei confronti del (OMISSIS); dall'altro, al fatto
che il (OMISSIS) era sovraordinato allo (OMISSIS) e che la regola che
non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico, e la
possibilita' concreta, di impedire equivale a cagionarlo, vale a
maggior ragione per i preposti a funzioni di comando e garanzia.
Deve in
conclusione convenirsi che il (OMISSIS), come ogni agente di polizia
giudiziaria e ogni militare aduso a tale regola, ha attribuito
al comandante provinciale una corresponsabilita' della quale,
perlomeno putativamente, era ragionevolmente e giustificabilmente
convinto.
Annulla
quindi senza rinvio la sentenza impugnata perche' trattasi di fatto
non punibile ai sensi dell'articolo 51 c.p. in
relazione alla diffamazione nei confronti dello (OMISSIS) e perche'
il fatto non costituisce reato in relazione alla
diffamazione nei confronti del (OMISSIS).
Avv.
Francesco Pandolfi
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