E’ basilare il principio del contraddittorio nei procedimenti
disciplinari a carico degli appartenenti alle forze di polizia, come evidenzia
la sentenza del T.A.R. Lazio, Sezione prima Ter, 13 ottobre 2011, n.7917, che
prende in considerazione le cause di legittimo impedimento dell’appartenente
alla forza di polizia nei confronti del quale veniva avviato il procedimento
disciplinare. Anche nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1207 sez. IV del 2
marzo 2012, viene evidenziato che: A norma dell'art. 15, primo comma, della
legge 11 luglio 1978, n. 383, "nessuna sanzione disciplinare di corpo può
essere inflitta senza contestazione degli addebiti e senza che siano state
sentite e vagliate le giustificazioni addotte dal militare interessato. In quest’ ultima sentenza viene però ribadita la
legittimità di un ordine impartito da un superiore gerarchico seppur non
diretto superiore dell’inferiore in grado.
sabato 12 maggio 2012
CAUSE DI SERVIZIO - TEMPI DI PRESCRIZIONE DELLE DOMANDE
L'art.36 del d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686 (e, in seguito, dell'art. 3 del d.P.R. 20aprile 1994, n. 349), esplicitano i tempi per la presentazione dell'istanza di riconoscimento per la dipendenza da causa di servizio, che sono di sei mesi dal momento della percezione che la malattia sia riconducibile al servizio svolto e non dalla mera conoscenza della infermità. Il tutto viene meglio chiarito nella sentenza del Consiglio di Stato n. 1303/2012, sez. III del 7/3/2012
TRASFERIMENTO - INDENNITA' - DISTANZA OLTRE I 10 KM - INTERPRETAZIONE
Il Consiglio
di Stato con sentenza 01338 dell' 8 marzo 2012 , interpreta la nozione della
distanza superiore ai 10 Km, innanzi alla resistenza del Ministero nel voler
erogare l'indennità di trasferimento ad un dipendente trasferito.
venerdì 11 maggio 2012
SANZIONE DISCIPLINARE AD OPERATORE DI POLIZIA CHE FREQUENTA LOCALI E PERSONE A LUI NON CONSONE
Il Consiglio di Stato, sez. VI, 27 luglio 2011, n. 4478, ritiene corretta la sanzione disciplinare della riduzione di 5/30 dello stipendio ad operatore di Polizia che frequenta locali e persone non consone al decoro richiesto ad un appartenente delle forse dell'ordine.
ANCHE I CARABINIERI POSSONO FARE POLITICA
Anche i carabinieri
possono fare politica, è quanto ha deciso il T.A.R.Per
l'Umbria con la sentenza n. 00146/2011.
PUOI FARE IL MILITARE MA NON IL CARABINIERE - FAMIGERATO ART. 11
Ecco come nella massima discrezionalità amministrativa si può finire in quella che io chiamo il “totale controllo insindacabile dell’azione amministrativa”. Non sono un giurista per dare una valutazione tecnica nel merito, ma nulla mi proibisce di avere dubbi sulle logiche così come esplicitate dal Consiglio di Stato. Con le parole oramai potremmo dire tutto e il contrario di tutto e giudicare un giorno in un modo ed un giorno nell'altro. Nella fattispecie si valuta il giudizio di una commissione che ritiene un concorrente, sotto il profilo psico- attitudinale , non idoneo all’ammissione nell’ Arma dei Carabinieri. Si prospetta quindi il famigerato art. 11, conosciuto dai ricorrenti l’articolo per il quale si defenestrano la maggior parte dei giovani che avanzano domanda, con le più svariate motivazioni. La sentenza del Consiglio di Stato n. 05541 del 14.10.2011, con le sue notevoli elucubrazioni in sostanza afferma che ciò che dice la commissione nel proprio giudizio, sebbene non congruamente motivato, è insindacabile, nonostante il ricorrente abbia fatto il militare ed abbia partecipato a missioni estere. Ma quale è stato il metro di giudizio della commissione che lo ha ritenuto idoneo per essere accettato come militare? Come può un giovane fare il militare, partecipare a teatri di guerra con uso delle armi e non avere i requisiti psico - attitudinali? E’ vero, con le parole potremmo spiegare tutto, con i fatti forse no.
MILITARE CONDANNATO PER DIFFAMAZIONE PER AVER DEFINITO I VERTICI "FURBETTI DI QUARTIERE"
Attenzione alle parole che vengono proferite, poiché ogni
locuzione può essere suscettibile di analisi innanzi al giudice penale, che
ritiene un vaffanculo proferibile , mentre “furbetto di quartiere” no. La
Suprema Corte (prima sezione penale, sentenza
n.37046 del 14.10.2011) ha ritenuto legittima la condanna per diffamazione
pluriaggravata di un Maresciallo dell'esercito che ha definito i vertici della
propria amministrazione “furbetti di quartiere”.
SPESE LEGALI - SPETTA IL RIMBORSO A MILITARE ASSOLTO IN SEDE PENALE
E' illegittimo, ai sensi dell'art.
18 del d.l. 25 marzo 1997, n.67, convertito dalla legge 23 maggio 1997, n. 135,
il diniego di rimborso delle spese legali sostenute da un dipendente pubblico
assolto in sede penale, motivato con riferimento al fatto che “ la condotta
concretamente posta in essere dal dipendente non è riferibile alla tutela di
interessi propri dell'amministrazione di appartenenza”, nel caso in cui risulti
che il dipendente stesso ( nella specie si trattava del Comandante di una
Stazione dei Carabinieri) sia stato imputato e poi assolto in sede penale per
il reato di falso nello svolgimento delle attività di ufficio.
INTERCETTAZIONI - UTILIZZABILITA'
La Corte
di Cassazione con sentenza n. 34735 del 26 settembre 2011 ritorna
sull'utilizzo delle intercettazioni nei procedimenti connessi. E' legittima
l'intercettazione che suffraga un reato per essere utilizzata per illeciti
connessi nel medesimo procedimento. E' più ampia l'utilizzabilità per i reati
di cui all'art. 266 del c.p.p.,mentre per gli altri deve sussistere
l'indispensabilità.
RISARCITO MILITARE DECEDUTO
I familiari di un militare deceduto
per motivi attinenti il proprio servizio chiedono l'attribuzione della speciale
elargizione di cui all’art. 6 della L. 3 giugno 1981 n. 308 e successive
modifiche. Il Ministero della Difesa rigetta la richiesta adducendo
giustificazioni e comparazioni che non trovano riscontro nella sentenza di Consiglio
di Stato N. 04462/2011 . Le
parti ricorrenti hanno avuto ragione ed il Ministero è stato condannato alle
spese di giustizia. I giudici hanno posto altresì in evidenza la differenza fra
le leggi308/1981 e n. 466/1980, che attengono al risarcimento degli
appartenenti alle forze armate e di polizia, che subiscono un evento dannoso (morte
o menomazione ) durante il periodo di servizio .
SANZIONE DISCIPLINARE - PROPORZIONALITA'
La proporzionalità delle sanzioni disciplinari. La sentenza del Consiglio
di Stato nr. 25/2011 mette in evidenza l'esigenza della proporzionalità
nell’esercizio dell' azione disciplinare.
La giurisprudenza ha ritenuto
sussistente il vizio di eccesso di potere quando il provvedimento disciplinare
appare sproporzionato rispetto ai fatti accertati ( Sez. IV, n. 6353/2009). Sia
ai dipendenti pubblici come ai militari, un isolato comportamento illecito non
può giustificare la misura disciplinare estintiva del rapporto di lavoro;a meno
che i fatti commessi siano talmente gravi da evidenziare l'assenza delle doti
morali, necessarie per la prosecuzione dell'attività lavorativa. Risulta
violato il principio di proporzionalità quando la responsabilità per il reato
commesso non può essere attribuita direttamente al dipendente civile o
militare.
Il ricorso al TAR del lazio viene
esperito da un agente della Guardia di Finanza contro l'espulsione dal Corpo a
causa di un procedimento penale, poi archiviato. Nella fattispecie si era
proceduto penalmente nei confronti del ricorrente e della consorte per un furto
commesso da quest'ultima in un …….
In prima istanza il ricorso contro
il provvedimento viene respinto dal giudice, mentre il Consiglio di Stato
ribalta la decisione evocando il principio di proporzionalità.
Il Consiglio di Stato non ha infatti condiviso la tesi dell'Amministrazione che ha posto in evidenza, nella fattispecie, un indice di carenza di qualità morali e di carattere e comunque lesivo del prestigio del Corpo –ritenendo, evidentemente, che un isolato comportamento illecito non faccia venir meno gli obblighi assunti con il giuramento.
Il Consiglio di Stato non ha infatti condiviso la tesi dell'Amministrazione che ha posto in evidenza, nella fattispecie, un indice di carenza di qualità morali e di carattere e comunque lesivo del prestigio del Corpo –ritenendo, evidentemente, che un isolato comportamento illecito non faccia venir meno gli obblighi assunti con il giuramento.
DANNEGGIAMENTO MILITARE - DUE PESI E DUE MISURE
Due pesi e
due misure, questa è la situazione in Italia quando sipongono a confronto
diritti e doveri di militari e normali cittadini.Il militare è subordinato ad
un differente ordinamento ed oltre algiudizio del c.p. è sottoposto al giudizio
del c.p.m. , all'internodel quale, sebbene in fase di rivisitazione da parte
del senato,alcune norme appaiono palesemente incostituzionali.
Il dipendente di una pubblica amministrazione, qualora danneggi inmaniera
colposa e non volontaria un bene mobile od immobiledell'amministrazione per la
quale svolge la propria attività, èchiamato innanzi alla legge, a rifondere i
danni causati e non certoa commisurarsi con sanzioni penalmente rilevanti. Ciò
invece nonsuccede per il militare. Può accadere quindi che un militare cheinfrange
casualmente un vetro di una caserma o tampona un'altro mezzocausando solo dei
danni può essere chiamato a rispondernepenalmente, differentemente dai
cittadini senza stellette. All'uoporiporto alcuni articoli del c.p.m. su cui
sarebbe opportuno fare unariflessione.
Fuori dei casi preveduti dai due primi commi dell'articolo
precedente, il militare, che comunque danneggia edifici militari, è punito con
la reclusione militare fino a cinque anni.
Art. 169. Distruzione o deterioramento di cose mobili militari.
Il militare, che, fuori dei casi preveduti dagli articoli 164 e
165, distrugge, disperde, deteriora, o rende inservibili, in tutto o in
parte, oggetti, armi, munizioni o qualunque altra cosa mobile appartenente
all'amministrazione militare, è punito con la reclusione militare da sei mesi a
quattro anni.
Se il fatto è commesso a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare, la reclusione militare è da due a cinque anni; e può estendersi fino a quindici anni, se dal fatto è derivata la perdita della nave o dell'aeromobile, o se l'una o l'altro non sia più atto al servizio cui era destinato.
Se il fatto è commesso a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare, la reclusione militare è da due a cinque anni; e può estendersi fino a quindici anni, se dal fatto è derivata la perdita della nave o dell'aeromobile, o se l'una o l'altro non sia più atto al servizio cui era destinato.
Art. 170. Fatti colposi.
Se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 168 e 169 è commesso
per colpa, si applica la reclusione militare fino a sei mesi.
Art. 171. Circostanza aggravante e circostanza attenuante in relazione alla entità del danno.
Nei casi preveduti dagli articoli 168 e 169:
1.
si applica la reclusione non inferiore a cinque anni, se dal fatto
è derivato un danno di rilevante entità;
2.
la pena è diminuita, se, per la particolare tenuità del
danno, il fatto risulta di lieve entità.
Alcuni di questi articoli sono apparsi
incostituzionali anche ad alcuni giudici, tant'è che con due ordinanze di
contenuto sostanzialmente identico emesse rispettivamente il 7 maggio 1986 e il
18 giugno 1986,il Tribunale militare di Padova ha denunciato, in riferimento
agli artt. 2, 3, 13 e 52 della Costituzione, l'illegittimità dell'art. 170 del
codice penale militare di pace, in relazione agli artt. 168 e169 dello stesso
codice, che commina una pena detentiva per il reato di danneggiamento colposo
di edifici militari e per il danneggiamento colposo di cose mobili militari,
anche se di lieve entità.
Il giudice
a quo ha anche denunciato, in riferimento agli artt. 3 e 27della Costituzione,
con la prima ordinanza gli artt. 53, 54, 77 e 79della legge 24 novembre 1981, n.
689, e con la seconda ordinanza gli artt. 53, 54 della stessa legge n. 689 del
1981, nella parte in cuiescludono che le sanzioni sostitutive delle pene
detentive brevi siano applicabili anche nei confronti dei militari maggiorenni
che commettano reati militari compresi nell'astratta competenza delpretore.
La CorteCostituzionale,
con sentenza n. 280 del 7 luglio 1987,dopo una lunga disquisizione
giuridica, ha considerato che :
” la non omogeneità delle
argomentazioni addotte e la conseguente diversificazione dei risultati cui i
rispettivi sviluppi potrebbero condurre non permettono a questa Corte di
individuare con certezza i veri termini del petitum e, quindi, di pervenire ad
una risposta di sicura aderenza a quanto effettivamente dal giudice a
quo.L'univocità formale dei due dispositivi, diretti ad una declaratoria di
illegittimità dell'art. 170 del codice penale militare di pace,non può ovviare
da sola alla non univocità della motivazione, nonfoss'altro perché il
raggiungimento dei più circoscritti obiettivi in essa alternativamente
ravvisabili risulterebbe compromesso da un epilogo drasticamente conforme a
quanto in apparenza richiesto nel dispositivo.
Dichiara
pertanto inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 170
del codice penale militare di pace, in relazione agli artt. 168 e 169 dello
stesso codice, sollevata, in riferimento agliartt. 2, 3, 13 e 52, terzo comma,
della Costituzione, dal Tribunale militare di Padova con le due ordinanze in
epigrafe.
Conla
seguente conclusione, che i diritti ed i doveri dei militari non vanno a pari
passo con quelli di un normale cittadino, ma soffrono spesso di motivazioni che
danno adito ad un affievolimento del senso diritto.
Chiè
debole non avrà la forza di rialzarsi se nessuno le porgerà lamano.
SPESE LEGALI PER FATTI OCCORSI IN SERVIZIO
Consiglio di Stato sez. VI 21/3/2011 n. 1713; Pres.
Coraggio, G., Est. Polito, B.R.
Rimborso delle spese legali
Rimborso delle spese legali
Con
determinazione 333.A/U.C./5769 – TL in data 12 settembre 2008- oggetto di
successiva conferma con atto dell’ 11 marzo 2009 - ilMinistero dell’ interno,
Dipartimento della pubblica sicurezza -acquisite le osservazioni del
destinatario del provvedimento sulpreavviso di atto negativo, ai sensi
dell’art. 10 bis della legge 7agosto 1990, n. 241 - respingeva, uniformandosi
ai pareri espressidall’ Avvocatura distrettuale dello Stato, la domanda
dell’ispettore superiore della Polizia di Stato @@@@@, intesa ad ottenere,ai
sensi dell’art. 18 della legge 23 maggio 1997, n. 135, ilrimborso delle spese
sostenute per patrocinio legale in giudiziopromosso nei suoi confronti con
imputazione per i reati di cui agliartt. 82, 314 e 323 c.p., connessi all’
espletamento del servizio(gestione di spaccio riservato agli appartenenti alla
Polizia diStato), conclusosi con sentenza assolutoria ai sensi dell’art.
530c.p.p. perché il fatto non sussiste.
Avverso
la determinazione negativa il @@@@ proponeva impugnativaavanti al Tribunale
amministrativo regionale per la Campania.
Ilricorso era respinto con sentenza in forma semplificata n. 4325 del23 luglio 2009 .
Ilricorso era respinto con sentenza in forma semplificata n. 4325 del23 luglio 2009 .
Il
Consiglio di Stato , con lasentenza in epigrafe indicata, ha deciso
differentemente da quanto èstato considerato dal Ministero, dall'Avvocatura di
Stato e dalT.A.R. Della Campania. A volte persitere può dare le
giustegratificazioni.
Nella specie il provvedimento
didiniego impugnato in prime cure, facendo proprie le conclusioni delparere
rassegnato dall’ Avvocatura distrettuale, dà rilievo allaparte motiva della
sentenza, che non consente di ritenere esclusa laresponsabilità dell’ imputato,
perché non ha fornito prova dellapropria innocenza, ma ha beneficiato del
ragionevole dubbio, inpresenza dell’ insufficienza della prova, che dà ingresso
all’assoluzione secondo il canone processuale penalistico del favor rei.
Come prima accennato l’ art. 18 della legge n. 137 del 1997assume a presupposto del diritto al rimborso delle spese perpatrocinio legale il giudizio si sia concluso con sentenza oprovvedimento che “escluda” la responsabilità.
L’ art. 530c.p.p. al primo comma individua una pluralità di formuleassolutorie, che prendono in considerazione: l’ insussistenza delfatto reato (il fatto non sussiste); la non attribuibilità dellafattispecie criminosa all’ imputato (l’ imputato non lo hacommesso); l’ inesistenza degli elementi costitutivi dellafattispecie criminosa (il fatto non costituisce reato); la mancataprevisione per legge del fatto come reato o che sia stato commesso dapersona non imputabile.
La disposizione in esame, al secondocomma, recepisce la regola di giudizio in base alla quale vapronunziata l’ assoluzione anche quando manchi o sia insufficienteo contraddittoria la prova sulla sussistenza del fatto reato, sullasua commissione da parte dell’ imputato, sulla qualificazione delfatto stesso come reato, ecc.
Entrambe le ipotesi assolutorieescludono ogni responsabilità agli effetti penali, in esito agiudizio valutativo e di graduazione delle prove assunte, nel loroconcorso, in negativo o in positivo, a qualificare la responsabilitàdell’ imputato. Il dispositivo è, quindi, sempre di pienoproscioglimento, essendo stata espunta la formula assolutoria delcodice di procedura penale previgente (art. 479, comma terzo) che, inassenza di prove sufficienti per pervenire alla condanna, prevedeval’ assoluzione per insufficienza di prove.
In presenza di unasentenza che, come nel caso di specie, nega la responsabilità aglieffetti penali dell’ imputato, sussiste il diritto alla misuraindennitaria, in concorso con gli ulteriori elementi dall’ art. 18della legge n. 137 del 1997, trattandosi di disposizione che nondiscrimina fra le diverse ipotesi di formule assolutorie prefiguratedall’ art. 530 c.p.p. e non assegna all’ Amministrazione un’area di discrezionalità che le consenta di sovrapporsi e sostituirsia quella effettuata dal giudice a quo.
Accedere all’ oppostatesi consentirebbe, muovendo dalla motivazione della sentenzaassolutoria, una riedizione in sede amministrativa del giudizio sull’ascrivibilità o meno all’ imputato del fatto reato per il quale èstata esercitata l’ azione penale dando, quindi, luogo ad unarinnovata valutazione nel merito degli estremi di responsabilità,che l’ art. 18 della legge n. 137 del 1997 non prevede affatto e,tantomeno, consente.
Per le considerazioni che precedono l’appello va, quindi, accolto e, per l’ effetto, va accolto ilricorso di primo grado e vanno annullati gli atti con essoimpugnati.
I particolari profili dell’ insorta controversiaconsentono la compensazione fra le parti di spese ed onorari per idue gradi di giudizio.
Come prima accennato l’ art. 18 della legge n. 137 del 1997assume a presupposto del diritto al rimborso delle spese perpatrocinio legale il giudizio si sia concluso con sentenza oprovvedimento che “escluda” la responsabilità.
L’ art. 530c.p.p. al primo comma individua una pluralità di formuleassolutorie, che prendono in considerazione: l’ insussistenza delfatto reato (il fatto non sussiste); la non attribuibilità dellafattispecie criminosa all’ imputato (l’ imputato non lo hacommesso); l’ inesistenza degli elementi costitutivi dellafattispecie criminosa (il fatto non costituisce reato); la mancataprevisione per legge del fatto come reato o che sia stato commesso dapersona non imputabile.
La disposizione in esame, al secondocomma, recepisce la regola di giudizio in base alla quale vapronunziata l’ assoluzione anche quando manchi o sia insufficienteo contraddittoria la prova sulla sussistenza del fatto reato, sullasua commissione da parte dell’ imputato, sulla qualificazione delfatto stesso come reato, ecc.
Entrambe le ipotesi assolutorieescludono ogni responsabilità agli effetti penali, in esito agiudizio valutativo e di graduazione delle prove assunte, nel loroconcorso, in negativo o in positivo, a qualificare la responsabilitàdell’ imputato. Il dispositivo è, quindi, sempre di pienoproscioglimento, essendo stata espunta la formula assolutoria delcodice di procedura penale previgente (art. 479, comma terzo) che, inassenza di prove sufficienti per pervenire alla condanna, prevedeval’ assoluzione per insufficienza di prove.
In presenza di unasentenza che, come nel caso di specie, nega la responsabilità aglieffetti penali dell’ imputato, sussiste il diritto alla misuraindennitaria, in concorso con gli ulteriori elementi dall’ art. 18della legge n. 137 del 1997, trattandosi di disposizione che nondiscrimina fra le diverse ipotesi di formule assolutorie prefiguratedall’ art. 530 c.p.p. e non assegna all’ Amministrazione un’area di discrezionalità che le consenta di sovrapporsi e sostituirsia quella effettuata dal giudice a quo.
Accedere all’ oppostatesi consentirebbe, muovendo dalla motivazione della sentenzaassolutoria, una riedizione in sede amministrativa del giudizio sull’ascrivibilità o meno all’ imputato del fatto reato per il quale èstata esercitata l’ azione penale dando, quindi, luogo ad unarinnovata valutazione nel merito degli estremi di responsabilità,che l’ art. 18 della legge n. 137 del 1997 non prevede affatto e,tantomeno, consente.
Per le considerazioni che precedono l’appello va, quindi, accolto e, per l’ effetto, va accolto ilricorso di primo grado e vanno annullati gli atti con essoimpugnati.
I particolari profili dell’ insorta controversiaconsentono la compensazione fra le parti di spese ed onorari per idue gradi di giudizio.
FERIE NON GODUTE - MINISTERO INTERNO E DELLA DIFESA DISPONGONO IL PAGAMENTO

Dopo il Ministero dell'Interno anche
il Ministero della Difesa ha inteso emanare una circolare
esplicativa Prot. n.” M D GMILO IV 11 40086008” del 28/02/2011,
riguardante la monetizzazione delle ferie non godute da parte di chi sia stato
collocato in malattia e/o successivamente riformato. Da tenere conto, secondo
la circolare,della prescrizione quinquennale e della compensazione delle spese
di giudizio da parte di chi abbia intrapreso un'azione legale nei confronti
dell'Amministrazione. Come dire:” avete volutoricorrere! Bene, pagatevi le
vostre spese legali. Eh no, Caro
Ministero, sei tu inadempiente, perchè dovrei pagare io per la tua negligenza? Vs. stralcio di sentenza sotto riportata
(1)
Dopo le circolari emanate dal
Ministero del lavoro, dal Ministero dell'Economia e finanze e dal Ministero
dell'Interno, anche il Ministero della Difesa, per i propri figli, quelli
di un Dio minore, ha dato indicazioni nel merito, riconoscendo un diritto a suo
tempo non ritenuto tale.
Compensazione delle spese!!?? Credo
che oltre alle spese legali lo Stato dovrebbe liquidare le spese derivanti dal
patema d'animo connesso e derivante , che un ostruzionismo cosi tenace ha sicuramente
contribuito a far nascere.
La divisa non fa di una
persona un suddito, ma l' uomo che la riveste, come tale, ha diritto del
rispetto della propria dignità, oltre che dei propri diritti.
(1)N.
00107/2011REG.PROV.COLL.
N. 00791/2003 REG.RIC.
REPUBBLICAITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
N. 00791/2003 REG.RIC.
REPUBBLICAITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna
·
OMISSIS -
Il
Collegio ritiene,infatti, di poter aderire al recente indirizzo che fa
discendere dalla indisponibilità ed irrinunciabilità del congedo
ordinario,nonché dalla relativa maturazione anche nei periodi di malattia, il diritto
al compenso sostitutivo, ogni qual volta la fruibilità del congedo stesso sia
oggettivamente esclusa per causa indipendente dalla volontà del
lavoratore Cons. St.,sez.VI, 21.4.2008, n. 1765,
23.7.2008, n. 3636 e 23.7.2006, n.3637;Cons. St., sez. IV, 29.8.2002, n. 4332 e
10.12.2003, n. 8118
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima)definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,lo accoglie e, per l'effetto:
1) dichiara il diritto del ricorrente di percepire il compenso, oltre interessi e rivalutazione,sostitutivo dei periodi di congedo ordinario e di riposo maturati enon goduti per un totale di 66 giorni;
2) condanna il Ministero della Difesa a pagare, in favore del ricorrenti, le relative somme da determinarsi nei sensi di cui in motivazione.
Condanna il Ministero della Difesa a pagare, in favore del ricorrente, le spese del presente giudizio il cui importo si liquida in complessivi euro2.000,00 (duemila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Cagliarinella camera di consiglio del giorno 9 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:Aldo Ravalli,Presidente; Alessandro Maggio, Consigliere; Giorgio Manca, Primo Referendario, Estensore.
ACCESSO AGLI ATTI - VERBALI DI SOPRALLUOGO
Tribunale Amministrativo Regionale Emilia Romagna Bologna
sez. II 18/2/2011 n. 144
Diritto di accesso ai verbali di sopralluogo di agenti di polizia giudiziaria
Diritto di accesso ai verbali di sopralluogo di agenti di polizia giudiziaria
1. Diritto di accesso ai documenti amministrativi – Atti
coperti da segreto istruttorio penale – Individuazione
2. Diritto di accesso ai documenti amministrativi – Verbali di sopralluogo redatti da agenti di polizia giudiziaria nell’espletamento delle loro funzioni istituzionali in materia di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro – Segreto istruttorio penale di cui all’art. 329 c.p.p. – Esclusione – Diniego di accesso – Illegittimità – Fattispecie
2. Diritto di accesso ai documenti amministrativi – Verbali di sopralluogo redatti da agenti di polizia giudiziaria nell’espletamento delle loro funzioni istituzionali in materia di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro – Segreto istruttorio penale di cui all’art. 329 c.p.p. – Esclusione – Diniego di accesso – Illegittimità – Fattispecie
1. Non
ogni denuncia di reato presentata dalla pubblica amministrazione all’autorità
giudiziaria costituisce atto coperto da segreto istruttorio penale che, in
quanto tale, è sottratto all’accesso; qualora, infatti, la denuncia sia stata
presentata dalla pubblica amministrazione nell’esercizio delle proprie funzioni
istituzionali, l’atto richiesto in ostensione non ricade nell’ambito di
applicazione dell’art. 329 c.p.p. (v. Cons. Stato, sez. VI, 9.12.2008, n.
6117).
2. È illegittimo il diniego di accesso opposto dall’amministrazione sanitaria ai verbali di sopralluogo effettuati da personale tecnico della azienda Usl relativi allo stato di conservazione delle coperture in eternit di alcuni edifici industriali, basato sulla ritenuta sottrazione all’accesso degli atti redatti dai propri dipendenti (nella loro qualità di agenti di Polizia giudiziaria), in quanto documenti coperti da segreto istruttorio penale di cui all’art. 329 c.p.p., trattandosi di verbali redatti nell’espletamento delle loro funzioni amministrative istituzionali in materia di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro; non essendo detti verbali mai stati inviati alla competente Procura della Repubblica, non vi è alcun valido elemento e/o argomento a sostegno della sottrazione all’accesso degli stessi perché coperti dal segreto istruttorio penale ex art. 329 c.p.p.
2. È illegittimo il diniego di accesso opposto dall’amministrazione sanitaria ai verbali di sopralluogo effettuati da personale tecnico della azienda Usl relativi allo stato di conservazione delle coperture in eternit di alcuni edifici industriali, basato sulla ritenuta sottrazione all’accesso degli atti redatti dai propri dipendenti (nella loro qualità di agenti di Polizia giudiziaria), in quanto documenti coperti da segreto istruttorio penale di cui all’art. 329 c.p.p., trattandosi di verbali redatti nell’espletamento delle loro funzioni amministrative istituzionali in materia di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro; non essendo detti verbali mai stati inviati alla competente Procura della Repubblica, non vi è alcun valido elemento e/o argomento a sostegno della sottrazione all’accesso degli stessi perché coperti dal segreto istruttorio penale ex art. 329 c.p.p.
LE VITTIME DI NASSIRIYA E DELL'URANIO IMPOVERITO OTTENGONO UN RISARCIMENTO


DUE STORIE CON UNA STESSA MOTIVAZIONE
"NEGLIGENZA"
Il presidente dell'Anavaf (associazione che difende i
militari e i familiari delle vittime) ha divulgato la sentenza della S.C. la quale
ha riconosciuto il nesso di causalità fra l'insorgenza del Linfoma di Hodgkin e
l'esposizione all'uranio impoverito in relazione al servizio del militare
ricorrente svolto in Somalia . Il Ministero della Difesa è stato
condannato a pagare un risarcimento di 545.061 Euro. Il perito del tribunale ha
ritenuto destituite di fondamento le conclusioni dell'indagine scientifica
della commissione Mandelli, secondo cui non poteva essere accertato un nesso di
causalità fra la malattia e l'esposizione del militare all'uranio impoverito.
La procedura di ricerca della commissione Mandelli è stata ritenuta errata. Le
cautele da parte del Ministero della Difesa sono state ignorate nonostante
l'adozione da parte di altri contingenti di misure di prevenzione per la pericolosità
specifica di quel teatro di guerra, sotto il profilo eziopatogenetico. Secondo
i giudici, «al di là delle raccomandazioni che erano o dovevano essere note al
ministero, il fatto che ai militari americani fosse imposta l'adozione di
particolari protezioni, anche in mancanza di ulteriori conoscenze, doveva
allertare le autorità italiane». Viene quindi messo in evidenza un
atteggiamento non ispirato ai principi di cautela e responsabilità da parte del
Ministero della Difesa, che ha ignorato le informazioni in suo possesso circa
la presenza di uranio impoverito e le segnalazioni che pervenivano dai militari
Italiani impegnati in quel teatro. Il presidente Falco Accame, che parla di
sentenza storica , sottolinea l'incertezza delle vittime all'esposizione
all'uranio, che oscilla, a seconda delle rilevazioni, tra i 77 e i 160 morti, e
tra i 312 e i 2.500 malati.
La sufficienza con la quale si affrontano certe
situazioni è stata sempre un punto debole delle nostre amministrazioni, civili
e militari.
Cosi come anche per quanto riguarda le vittime di
Nassirya, ove la Cassazione ha riconosciuto il risarcimento alle famiglie dei
19 caduti, le quali hanno combattuto per l'accertamento della
verità. L'avv.
Fracesca Conte ha risaltato la sentenza come una vittoria morale, in un
clima di isolamento ove la stessa Procura militare ha rinunciato a ricorrere in
Cassazione insieme a loro contro le assoluzioni del generale dell'Esercito
Bruno Stano, condannato in primo grado dal gup del Tribunale militare di Roma a
due anni di reclusione per non avere adottato tutte le misure necessarie alla
difesa di base Maestrale e del generale dell'Esercito Vincenzo Lops.
La Corte militare d'appello aveva assolto i generali ed
aveva quindi escluso il risarcimento a favore dei familiari delle 19 vittime.
Nell’aula "Brancaccio", dove è stato letto il dispositivo, ha voluto
essere presente il Procuratore generale militare presso la Cassazione Antonino
Intelisano che ha esclamato: «Sono molto contento, nessuno più di me sa quanto
è stato difficile questo percorso» Difficile perché erano coinvolti
due generali e non due caporali!?
In entrambe i casi si è omesso di adottare le opportune
cautele affinché gli eventi (la contaminazione e l'attentato alla base) si
potessero verificare.
La mia riflessione è: “ perché chi è negligente ed
omette di adottare le dovute cautele non paga mai di persona”? Perché non
riusciamo mai ad individuare un responsabile!? Il risarcimento chi dovrà
pagarlo, lo Stato? Ma lo Stato, chi è?
BUONUSCITA - SEI SCATTI AGGIUNTIVI
poiché alcuni commenti sull'argomento ( 6
SCATTI AGGIUNTIVI DLG 165/97 )
tendono a richiedere delucidazioni nel merito, riprendiamo il post pubblicato e
ritorniamo sull'argomento cercando di essere più chiari.
L'art. 12 delle preleggi, al Capo I
delle disposizioni sulla legge in generale recita: ”Nell'applicare la
legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal
significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla
intenzione del legislatore.”Orbene, dalla lettura delle norme prese in
esame, non assurge l'esclusione letterale della possibilità di applicare i sei
scatti aggiuntivi anche ai fini del TFS. Andiamo quindi a leggere attentamente
i combinati disposti delle norme facendo una cognizione lessicale delle parti.
a) Art. 11 Legge n. 231/1990,
Scatti stipendiali.
1. Il comma 15- bis dell'articolo 1 del decreto-legge 16
settembre 1987, n. 379, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre
1987, n. 468, e' sostituito dal seguente: "15-bis. Ai sottufficiali delle Forze armate,
compresi quelli dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza
sino al grado di maresciallo capo e gradi corrispondenti, promossi ai sensi
della legge 22 luglio 1971, n. 536, ed ai marescialli maggiori e marescialli
maggiori aiutanti ed appuntati, che
cessano dal servizio per eta' o perché' divenuti permanentemente inabili al
servizio incondizionato o perché' deceduti, sono attribuiti, ai soli
fini pensionistici e della liquidazione dell'indennità' di buonuscita, sei
scatti calcolati sull'ultimo stipendio, ivi compresi la retribuzione
individuale di anzianità' e gli scatti gerarchici, in aggiunta a qualsiasi
altro beneficio spettante. Detto beneficio si estende anche ai
sottufficiali provenienti dagli appuntati che cessano dal servizio per gli
stessi motivi sopra specificati a condizione che abbiano compiuto trenta anni
di servizio effettivamente prestato. Del predetto beneficio non si tiene conto
per il calcolo dell'indennità' di ausiliaria di cui all'articolo 46 della legge
b) Art.4 D.lgs 165/97 , Maggiorazione
della base pensionabile.
1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo i sei aumenti periodici di stipendiodi cui all'articolo 13 della legge 10 dicembre 1973, n. 804, all'articolo 32, comma 9-bis, della legge 19 maggio 1986, n. 224, inserito dall'articolo 2, comma 4, della legge 27 dicembre 1990, n. 404, all'articolo 1, comma 15-bis, del decreto-legge 16 settembre 1987, n. 379, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1987, n. 468, come sostituito dall'articolo 11 della legge 8 agosto 1990, n. 231, all'articolo 32 del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196, e all'articolo 21 della legge 7 agosto 1990, n. 232, sono attribuiti, in aggiunta alla base pensionabile definita ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, all'atto della cessazione dal servizio da qualsiasi causa determinata, con esclusione del collocamento in congedo a domanda, e sono assoggettati alla contribuzione previdenziale di cui al comma 3. 165/97.
2. Gli aumenti periodici di cui al comma 1 sono,
altresi', attribuiti al personale che cessa dal servizio a domanda previo
pagamento della restante contribuzione previdenziale di cui al comma 3,
calcolata in relazione ai limiti di eta' anagrafica previsti per il grado
rivestito.
3. Ai
fini della corresponsione degli aumenti periodici di cui ai commi 1 e 2, a
tutto il personale comunque destinatario dei predetti aumenti, compresi gli
ufficiali "a disposizione" dei ruoli normali e speciali, l'importo
della ritenuta in conto entrate del Ministero del tesoro a carico del personale
il cui trattamento pensionistico e'
computato con il sistema retributivo, operata sulla base contributiva e
pensionabile come definita dall'articolo 2, comma 9, della legge 8 agosto 1995,
n. 335, e' progressivamente incrementato.
c)
T.A.R. Lazio N. 10729/2010 REG.SEN. N. 06116/2006 REG.RIC.
FATTO e DIRITTO
Ritenendolo illegittimo sotto più profili, il Vicebrigadiere (in congedo) dei CC. P…. E….. ha impugnato il provvedimento n. “DGPM/VI/21/04/28053” del 27.3.2006: con cui i competenti organi ministeriali ne hanno rigettata l’istanza volta ad ottenere la liquidazione, sul suo trattamento di buonuscita e su quello pensionistico, degli “scatti di anzianità” (ai quali egli pretende di aver diritto) previsti dall’art.11 della legge n.231/90. All’esito della discussione svoltasi nella pubblica udienza del 21.4.2010, il Collegio – trattenuto il relativo ricorso in decisione – ne constata (e ciò rende, ovviamente, superflua la formulazione di qualsivoglia considerazione in punto di rito) la palese infondatezza.
Anche – invero – a non voler tener conto del fatto- che l’E…… ha lasciato l’Arma senza aver maturato il diritto al trattamento pensionistico ordinario (essendogli soltanto stata riconosciuta, dal marzo del 2005, una pensione privilegiata di terza categoria); -che, al 5.4.2003: quando è stato collocato in congedo (per, è bene precisarlo, “perdita del grado per rimozione”), egli non era – infatti – in possesso dei requisiti richiesti (in materia) dall’art.6, comma 2, del d.lg. n.165/97 (che fa riferimento sia alla massima anzianità contributiva che ad un’età anagrafica pari, o superiore, ai 53 anni), si deve comunque rilevare come – “in iure condito” – i benefici di cui trattasi non siano fruibili (oltre che da coloro che lasciano il servizio “a domanda”: a meno che, in tal caso, non provvedano al pagamento della restante contribuzione previdenziale) da coloro che, come l’interessato, sono (stati) oggetto di provvedimenti destitutori. E dunque; atteso che – nella circostanza – la resistente ha fatto corretta applicazione della vigente normativa di settore: attenendosi, in particolare, ai principi elaborati – sul punto (proprio per evitare ingiustificate disparità di trattamento tra gli amministrati) – nella Conferenza dei Servizi tenutasi il 10.2.2008, il Collegio (con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite) non può – appunto – che concludere per l’infondatezza della proposta impugnativa.
Il Tribunale amministrativo rigetta
il ricorso del V.Brigadiere negandogli i sei scatti aggiuntivi sul trattamento di buonuscita e su
quello pensionistico per i
seguenti motivi: ”
·
destituito con perdita
del grado; non in possesso dell'anzianità contributiva né di quella anagrafica
pari o superiore ai 53 anni” .
La non riconoscibilità discende
dalla mancanza dei requisiti minimi generici , nulla viene affermato sulla non
applicabilità in assoluto del trattamento ai fini della buonuscita.
La norma non incide
sull'applicazione dei sei scatti aggiuntivi ai fini del TFS, ancorché,
dall'attenta lettura dell'art. 4 Co.2 L. 165/97, si capisce che gli aumenti
periodici di cui al comma 1 , che fanno esplicito riferimento alle
modificazioni delle norme chiaramente
assorbite dall'art. 11 della L. 231/1990, quindi all'applicazione dei sei
scatti aggiuntivi anche sulla buonuscita, spettano oltre a chi viene dichiarato
inabile al servizio anche a chi cessa dal servizio a domanda previo pagamento
della restante contribuzione previdenziale di cui al comma 3, calcolata in
relazione ai limiti di eta' anagrafica.
La domanda finale quindi è:”
dove sta scritto che i 6 scatti non sono applicabili anche alla buonuscita?
Orbene, ci si chiede quindi, perché
le amministrazioni centrali propendono per una interpretazione restrittiva
della norma? Dove scorgono la chiara volontà del legislatore nel non voler
applicare i sei scatti anche sul TFS? credo che la risposta sia semplice, le
amministrazioni centrali con proprie circolari hanno dato degli indirizzi
precisi e, così facendo , lo Stato ha risparmiato un bel po di soldini. Il
pensionato per veder riconoscere i sei scatti aggiuntivi sulla liquidazione
dovrebbe fare ricorso al T.A.R e non alla Corte dei Conti, non trattandosi di
materia pensionistica ma ai fini della buonuscita. Si può dire che per
l'amministrazione il gioco è fatto. Sanno che la maggior parte dei pensionati
non ricorrerà per i costi legali e il tempo necessario per avere giustizia, e ,
qualora ciò accadesse, la sentenza non sarebbe applicabile erga omnes.
Qualora in tanti si destassero e
decidessero di ricorrere suddividendo i costi, avremmo la soddisfazione di
leggere il dispositivo della sentenza sull'argomento.
STRAORDINARI - CONGEDO STRAORDINARIO IN MALATTIA - IL MINISTERO RIVEDE LE PROPRIE POSIZIONI-
Visti i numerosi
ricorsi su cui gli esiti univoci hanno visto soccombere il Ministero Interno in
relazione allo straordinario non pagato o della monetizzabilità del congedo
ordinario non pagato, maturato durante i periodi di assenza per malattia, Il
Ministero ha inteso emanare una circolare esplicativa che invitava le
amministrazioni a non porre più resistenza alle domande avanzate in tal senso.
La circolare esplica così come segue:
“Il Consiglio di Stato –
Commissione speciale del 4 ottobre 2010, ha fornito il parere richiesto,
pubblicato in data 2 dicembre 2010, evidenziando che entrambi gli indirizzi,
quello favorevole ai ricorrenti e quello che conferma il criterio
interpretativo adottato dall'Amministrazione, sono in una posizione di
“astratta condivisibilità”. In particolare viene precisato che l'orientamento
espresso nelle circolari sull'argomento può “vantare una riconducibilità alle
fonti normative”.
Con il medesimo parere, tuttavia,
L'Alto Consesso ha ritenuto, anche sulla base delle sentenze della Corte Costituzionale 616/1987 e
158/2001 nonché della
pronuncia delle Sezioniunite della Corte di Cassazione n. 14020/2001
“di riconoscere il diritto
del dipendente lavoratore in questione alla monetizzabilità anche del congedo
non goduto durante il periodo di aspettativa per motivi di salute, a cui è
seguita senza soluzione di continuità la dispensa dal servizio; ciò in quanto
va condivisa la riflessione di fondo sostenuta nella menzionata recente
giurisprudenza per cui, se la non imputabilità al dipendente del mancato
svolgimento dell'attività di servizio è alla base del riconoscimento del
diritto alle ferie ( non effettivamente godute), la monetizzabilità di tale
periodo deve essere sempre riconosciuta in ipotesi, quale quella di specie, non
riconducibili alla volontà delle parti (dipendente e datore di lavoro), ma
oggettivamente connesse al rapporto di servizio, trattandosi tra l'altro di
ipotesi qualitativamente del tutto assimilabili alle documentate esigenze di
servizio”.
Ciò premesso, si evidenzia la
necessità di uniformarsi al parere espresso dal Consiglio di Stato e quindi di
riconoscere monetizzabili anche i giorni di congedo ordinario maturati durante
il periodo di infermità o malattia cui consegue, senza soluzione di continuità,
la cessazione dal servizio.
Pertanto gli Uffici
Amministrativo Contabili dovranno procedere a corrispondere il compenso
sostitutivo in argomento con il nuovo criterio indicato dal consiglio di Stato
anche al fine di evitare inutile contenzioso che, dopo il parere il questione,
vedrebbe comunque l'Amministrazione soccombente.
Come già annunciai su altri post
con sentenze ancor più recenti, che esplicitavano il diritto a vedere
riconosciuti gli straordinari anche in talune fattispecie, finalmente anche il
Ministero ha capito, ed emana una circolare che dispone il pagamento del
dovuto. Ciò che lascia perplessi è il ritardo con il quale la p.a. giunge
a conclusioni pro dipendente .Come sempre e con forza ripeto, perché i
funzionari che hanno negato tale diritto ostinatamente non devono pagare le
spese di giudizio che lo Stato ha sostenuto?
DISCIPLINA MILITARE
L’art. 15 della legge 11 luglio 1978, n.
382 (legge recante “Norme di principio sulla disciplina militare”)
stabilisce che:
“15. Nessuna sanzione disciplinare di
corpo può essere inflitta senza contestazione degli addebiti e senza che siano
state sentite e vagliate le giustificazioni addotte dal militare interessato.
Non può essere inflitta la consegna di rigore se non è stato sentito il parere
di una commissione di tre militari, di cui due di grado superiore ed uno pari
grado del militare che ha commesso la mancanza. Quest'ultimo è assistito da un
difensore da lui scelto fra i militari dell'ente cui appartiene o, in mancanza,
designato d'ufficio. Il difensore non può essere di grado superiore a quello
più elevato dei componenti la commissione. Nessuna sanzione disciplinare può
essere inflitta al militare che ha esercitato le funzioni di difensore in un
procedimento disciplinare per fatti che rientrano nell'espletamento del suo
mandato. Il regolamento di disciplina militare stabilisce le modalità e le
procedure per la composizione e il funzionamento della commissione, nonché per
la designazione del difensore, tenendo conto della particolare struttura
ordinativa e funzionale di ciascuna forza armata.
L’art. 66 del D.P.R. 18 luglio 1986, n.
545 (decreto recante l’”Approvazione del regolamento di disciplina
militare, ai sensi dell'art. 5, primo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382”),,
a sua volta, così recita:
“66. Procedure per infliggere la
consegna di rigore.
1. Dopo aver provveduto agli
adempimenti indicati nei successivi articoli 67 e 68 il comandante di corpo o
di ente convoca l'incolpato, il difensore e la commissione.
2. Il procedimento si svolge, quindi, come segue:
2. Il procedimento si svolge, quindi, come segue:
a) contestazione da parte del
comandante di corpo o di ente degli addebiti;
b) esposizione da parte dell'incolpato
delle giustificazioni in merito ai fatti addebitatigli;
c) eventuale audizione di testimoni ed
esibizione di documenti;
d) intervento del militare difensore.
3. Il comandante, congedati gli
eventuali testimoni, l'incolpato ed il difensore, sentita la commissione, la
invita a ritirarsi per formulare il parere di competenza. Se non vi è accordo
tra i componenti della commissione, il parere è espresso a maggioranza.
4. I componenti la commissione sono
tenuti al segreto sulle opinioni espresse nel proprio ambito.
5. Il parere viene reso noto
verbalmente al comandante di corpo o di ente entro il tempo massimo di due ore.
6. Il parere non è vincolante.
7. Il comandante di corpo o di ente
deve rendere nota la propria decisione possibilmente entro lo stesso giorno. La
decisione viene comunicata senza ritardo all'interessato anche quando non sono
applicate sanzioni.
8. Quando previsto, la comunicazione
viene fatta anche per iscritto.
9. Successivamente alla seduta, il
comandante di corpo fa redigere e firma apposito verbale nel quale, oltre alla
motivazione della decisione ed al parere della commissione, devono essere
precisate le generalità dei componenti della commissione e del militare
difensore”. Il successivo art. 67 dispone che:
“ art. 67. Commissione
consultiva.
1. Il comandante di corpo o di ente,
tutte le volte che si trova a dover giudicare una infrazione per la quale sia
prevista la sanzione della consegna di rigore, ha l'obbligo di sentire, prima
della sua decisione, il parere della commissione prevista dall'art. 15, comma
secondo, della legge di principio sulla disciplina militare.
2. La commissione è nominata dal
comandante di corpo ed è presieduta dal più elevato in grado o dal più anziano
dei componenti a parità di grado.
3. Qualora presso il corpo o l'ente non
esistano, in tutto o in parte, militari del grado prescritto per la costituzione
della commissione, il comandante di corpo o di ente richiede al comando o
all'ente, immediatamente superiore in via disciplinare, l'indicazione dei
citati militari.
4. La commissione deve essere resa
edotta delle generalità dell'incolpato e degli addebiti a lui contestati.
5. Nel caso in cui più militari abbiano
commesso la stessa mancanza la commissione è unica.
6. Non possono far parte della
commissione il superiore che ha rilevato la mancanza e il militare offeso o
danneggiato.”
SANZIONE DISCIPLINARE - CARABINIERE RICORRE AL TAR
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia
Giulia, Sez. I. N. 00221/2009 REG.SEN. - N. 00095/2007 REG.RIC.
Cinque giorni di consegna di rigore
inflitti ad un C.re scelto sono diventati oggetto di sentenza da parte di un
tribunale amministrativo. I giorni di rigore venivano inflitti poiché lo stesso
C.re, già nominato delegato “C.o.b.a.r”, pubblicizzava la sua candidatura
al “C.o.i.r.” con dei volantini esposti in bacheca. Egli infatti presentava il
volantino alla Stazione Carabinieri di ….., chiedendone la
distribuzione e l’affissione nelle apposite bacheche,come previsto per
legge. La Stazione di …... inviava il volantino alla Regione Carabinieri …....
ed il Comandante di Regione, in un appunto del 30.5.2OO6, valutato che il
ricorrente aveva trattato argomenti che “potrebbero” esulare dalle materie
proprie della rappresentanza, riteneva che il volantino potesse non essere
diramato e che il ricorrente potesse essere valutato disciplinarmente; inviava
così le sue considerazioni al Comandante Interregionale Carabinieri “Vittorio
Veneto” il quale, il giorno stesso , dichiarando di condividere le osservazioni
del Comandante di Regione, decideva di non diramare il volantino e lo invitava a promuovere
il procedimento disciplinare a carico del ricorrente, chiedendogli di essere
informato circa l’esito.
Il C.re chiese d'essere
difeso innanzi alla commissione disciplinare da un ufficiale dei CC, nella
fattispecie un maggiore, che però rifiutò, pertanto la richiesta venne
riformulata ad un M.llo, che sebbene avesse accettato l'incarico dovette
rinunciarvi per motivi di salute, il C.re riprovò con un Appuntato, che accettò,
ma non si presentò il giorno dell'udienza - la solidarietà nell'Arma non è
spesso provverbiale- .
La commissione di disciplina
riteneva, all’unanimità, che la violazione contestata al ricorrente non fosse
punibile con la sanzione di rigore e suggeriva di non adottare alcun
provvedimento in tal senso. Ciò nonostante , con
provvedimento notificato il giorno stesso il Comandante Regionale, a conclusione
dell’iter procedimentale, compendiata
nella seguente motivazione:
““Carabiniere scelto, candidato alle elezioni del CO.I.R. categoria “C”, in volantino di propaganda elettorale, presentato presso il comando di appartenenza e destinato alla diffusione presso i componenti dei CO.BA.R. interessati, non si atteneva ai doveri imposti dall’art. 22 comma 2 lett. AR.A.R.M., trattando argomenti esulanti le competenze previste dall’art. 19 L. 382/78 e dagli artt. 8, 9 e 10 R.A.R.M. in violazione dei doveri imposti dall’art. 22 comma 2 lett. A R.A.R.M., ai sensi dell’art. 57 R.D.M. e, in base a quanto stabilito dall’art. 12 R.A.R.M., ultimo comma, del n. 3 all. “CC” del R.D.M. in relazione all’art. 10 del medesimo regolamento”. Il C.re quindi proponeva ricorso gerarchico al Comandante interregionale “Vittorio Veneto” avverso la sanzione di corpo ed il 9.1.2OO7, quando già era scaduto il termine per l’adozione del provvedimento, gli veniva notificata la comunicazione con la quale il Comandante Generale, al quale la pratica era stata trasmessa, Io informava della sua intenzione di rigettare il ricorso.
““Carabiniere scelto, candidato alle elezioni del CO.I.R. categoria “C”, in volantino di propaganda elettorale, presentato presso il comando di appartenenza e destinato alla diffusione presso i componenti dei CO.BA.R. interessati, non si atteneva ai doveri imposti dall’art. 22 comma 2 lett. AR.A.R.M., trattando argomenti esulanti le competenze previste dall’art. 19 L. 382/78 e dagli artt. 8, 9 e 10 R.A.R.M. in violazione dei doveri imposti dall’art. 22 comma 2 lett. A R.A.R.M., ai sensi dell’art. 57 R.D.M. e, in base a quanto stabilito dall’art. 12 R.A.R.M., ultimo comma, del n. 3 all. “CC” del R.D.M. in relazione all’art. 10 del medesimo regolamento”. Il C.re quindi proponeva ricorso gerarchico al Comandante interregionale “Vittorio Veneto” avverso la sanzione di corpo ed il 9.1.2OO7, quando già era scaduto il termine per l’adozione del provvedimento, gli veniva notificata la comunicazione con la quale il Comandante Generale, al quale la pratica era stata trasmessa, Io informava della sua intenzione di rigettare il ricorso.
Senza soffermarci sulle
motivazioni che hanno indotto la corte ad accogliere il ricorso ed annullare
l'atto riguardante il provvedimento disciplinare adottato nei confronti del
C.re, che sarebbe comunque interessante leggere, la stessa decide per la
compensazione delle spese.
A questo punto, la solita
domanda che tutti dovremmo porci è la seguente:" perché le spese in
questa circostanza devono essere compensate? " Continueremmo a
chiederci perché la pubblica amministrazione continua a non pagare? a
rimetterci deve essere il cittadino che chiede giustizia innanzi a
provvedimenti “abnormi”?.
MORALE:
La bilancia della giustizia non
penderà mai del tutto da una sola parte, anche quando si è dalla parte
della ragione.
STRAORDINARIO - RIPOSO COMPENSATIVO
TAR Lombardia-Milano,
sez. I, sentenza 03.03.2010 n° 499
L'amministrazione della guardia di Finanza, con articolata
memoria, contesta la fondatezza delle domande dei finanzieri ricorrenti atte ad
ottenere la condanna al pagamento delle ore di straordinario ed, in via
subordinata, di poter fruire dei turni di riposo compensativo, in ragione
dell'assenza di una preventiva autorizzazione allo svolgimento del lavoro
straordinario e del superamento del monte ore disponibile (circolare
28.9.2001), per la mancata richiesta tempestiva di fruire del riposo
compensativo per le ore in eccedenza. Devono respingersi le domande volte
all'annullamento dell'atto impugnato ed alla condanna al pagamento delle ore
straordinarie; deve invece essere accolta la domanda proposta in via
subordinata volta all'accertamento del diritto ai riposi compensativi maturati
e non goduti
TRASFERIMENTI - INDENNITA'
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Sez. Prima Bis Senza 4901/2010 Sul
ricorso numero di registro generale - N.
10253/2009 REG.RIC.
Il Ministero della Difesa - Servizio Amministrativo - ha
comunicato al ricorrente la non sussistenza dei requisiti previsti per
l’attribuzione dei benefici di cui agli artt. 1 e 13 della Legge 29.3.2001, n.
86 relativi al trattamento economico di trasferimento . L'ufficio Logistico ha
comunicato al ricorrente l’annullamento della pratica relativa al trasloco dei
mobili e masserizie in quanto non destinatario dei benefici relativi
all’indennità di trasferimento chiesta
a seguito della partecipazione al corso-concorso per il reclutamento di 70
sottotenenti . Il ricorrente ha sostenuto che
illegittimamente l’amministrazione gli ha dapprima concesso e poi negato il
beneficio dell’indennità di trasferimento, in palese violazione del principio
di non disparità di trattamento con gli appartenenti al ruolo di “marescialli”, sul presupposto della
partecipazione volontaristica al concorso, del carattere novativo del rapporto
di impiego, della prevalenza dell’aspetto di volontarietà della partecipazione
al concorso rispetto all’interesse dell’amministrazione militare la cui
necessità ad assumere personale è stata pienamente soddisfatta dalla quota
riservata agli appartenenti al ruolo dei “marescialli. Viste le disparità di
trattamento operata dall’amministrazione nei confronti degli appartenenti al
ruolo dei sergenti, ai quali è stata negata l’indennità in parola mentre è
stata riconosciuta ai sottotenenti provenienti dal ruolo dei marescialli;
-sulla circostanza che marescialli
e sergenti sono già stati destinatari dell’assegnazione della prima sede di
servizio e, pertanto, il transito al grado superiore di sottotenenti avviene,
per entrambi i ruoli, senza la benché minima soluzione di continuità trovandosi
già in servizio;
Viste che il ricorrente fonda le
proprie pretese:
-sulla equiparazione del ruolo dei
sergenti a quello dei marescialli – costituenti entrambi la categoria dei
sottufficiali - operata dall’art. 1 della legge n. 299/2004 come novellato nel
testo dall’art. 5 del D.Lvo n. 490/1997;
-il trasferimento ad una nuova sede di servizio si configura come trasferimento di autorità reso su apposito quesito del Ministero della Difesa, nel quale si è specificato che se il passaggio al ruolo superiore avvenga per il superamento di un concorso pubblico, con il conferimento di posti non rientranti nella quota riservata al personale militare (come nel caso del ricorrente), il carattere novativo del rapporto induce ad escludere la possibilità di attribuzione della indennità di trasferimento, al momento della instaurazione di quello che deve essere considerato un nuovo rapporto di lavoro nell'ambito delle Forze armate, con l'assegnazione, pertanto, della prima sede di servizio.
-il trasferimento ad una nuova sede di servizio si configura come trasferimento di autorità reso su apposito quesito del Ministero della Difesa, nel quale si è specificato che se il passaggio al ruolo superiore avvenga per il superamento di un concorso pubblico, con il conferimento di posti non rientranti nella quota riservata al personale militare (come nel caso del ricorrente), il carattere novativo del rapporto induce ad escludere la possibilità di attribuzione della indennità di trasferimento, al momento della instaurazione di quello che deve essere considerato un nuovo rapporto di lavoro nell'ambito delle Forze armate, con l'assegnazione, pertanto, della prima sede di servizio.
-l’ontologica diversità della
situazione giuridica dei militari transitati al ruolo superiore a seguito del
superamento di un concorso pubblico, con il conferimento di posti non
rientranti nella quota riservata al personale militare, fonda la non
irragionevole differenza di trattamento del personale in questione trattandosi
di situazioni non omogenee a quelle prese a raffronto;
Ritenuto, per quanto sopra,
infondato il ricorso mentre le spese di giudizio, liquidate in dispositivo,
seguono la soccombenza;
IL MINISTERO PAGA POICHE' PARTE
SOCCOMBENTE.
giovedì 10 maggio 2012
PORTO D'ARMI - DINIEGO - CARENZA DI MOTIVAZIONE
Anche i Prefetti ed
i questori pagano; così pare
abbiano sentenziato i giudici del T.A.R.
della Sicilia , Sez. III, giudicando in merito al ricorso n. 3504/99 R.G. e, il
Consiglio di Stato, N. Sez. 762/01 con adunanza del 12 giugno 2002, in
relazione al rigetto del rinnovo del porto d’armi innanzi al difetto di
un’adeguata motivazione, addebitando così le spese all‘amministrazione
soccombente. Eppure, ancora oggi, molte amministrazioni pubbliche, facendosi
forti dell’ampia discrezionalità che viene concessa loro in merito ai
provvedimenti di polizia, forzano la mano dando sfocio a decreti apodittici che
mostrano intrinsecamente una carenza di motivazione.
Il Tar Liguria Sez.
Seconda – Sent. del 20.08.2008, n. 1576, compensando le spese di
giudizio fra le parti, conclude che, come costantemente affermato dalla
giurisprudenza, anche di questa Sezione, è illegittimo per insufficienza della
motivazione il provvedimento con il quale si nega il rinnovo del porto d’armi a
soggetto precedentemente autorizzato, sulla sola considerazione che lo stesso
non versa allo stato nelle condizioni che giustificano la necessità di girare
armato, senza assolutamente indicare le ragioni della nuova valutazione
contrastante con le precedenti che, viceversa, avevano dato luogo al rilascio
dell’autorizzazione al porto di pistola. Il Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (Sezione Sesta) N.2450/08 Reg.Dec. N. 3012 Reg.Ric .ANNO
2007 ha
poi aggiunto che l’art. 43, comma 2, del citato Testo Unico riconosce, in
effetti, alla p.a.. un potere ampiamente discrezionale nella valutazione dei
presupposti e dei requisiti necessari per ottenere il rilascio della licenza di
porto di pistola per difesa personale; ma di certo detta discrezionalità non
può sconfinare in un operato dell’autorità procedente che in definitiva si
appalesi in contrasto con i principi della logicità e ragionevolezza
dell’azione amministrativa;Sotto tali profili non appare dato comprendere,
pertanto, come, in assenza di mutati presupposti e requisiti soggettivi,
l’amministrazione abbia successivamente ritenuto di procedere in modo
differenziato nei confronti del richiedente la licenza (cfr.per casi in parte
analoghi, decisioni della Sezione 7.6. 2006, n. 3427 e 27.7.2007, n.4169)
SANZIONE DISCIPLINARE - IL MINISTERO NON PUO' INASPRIRE LA SANZIIONE
Sentenza della
Corte Costituzionale n. 62 del 5.3.2009
È irragionevole che
un'autorità superiore ma esterna alla commissione di disciplina possa rendere
più severa la sanzione prevista per un sottufficiale delle Forze armate. I
giudici costituzionali hanno così dichiarato illegittimo l'articolo 75 della
legge 31 luglio 1954 numero 99 (Stato dei sottufficiali dell’Esercito, della
Marina e dell’Aeronautica), nella parte in cui prevede la possibilità, per
l’organo competente all’adozione delle sanzioni disciplinari di stato, di
discostarsi dal giudizio della Commissione di disciplina non solo in senso più
favorevole all’incolpato ma, sia pure soltanto in casi di particolare gravità,
anche a sfavore di questo.
NASSYRYA - LA GIUSTIZIA AMMAINA LA BANDIERA
Nassirya, un tempo ed una storia, la storia dei 19 militari lì
deceduti, che ancora oggi attendono una giustizia terrena. Diciamo che
probabilmente, all’epoca, un’attento esame della situazione, avrebbe
potuto evitare tale tragedia. Ancora oggi non si capisce perché chi ricopre
ruoli determinanti e di comando non debba rispondere delle proprie azioni e
delle proprie imperizie e negligenze. Purtroppo è il riverbero della
mentalità Italiana, si cerca sempre di respingere le responsabilità, soprattutto
quando esse ricadono su uomini situati al vertice , di qualsivoglia
Istituzione. I 19 morti di Nassirya sono causa dell’imperizia e della
sottovalutazione del rischio. Oggi gli alti ufficiali implicati fruiscono
di una norma che è passata inosservata, approvata il 29 dicembre 2009 e
pubblicata nella gazzetta ufficiale il 31, la quale statuisce che i Tribunali militari per procedere nei
confronti di un soldato o di un ufficiale devono avere il via libera del
ministero. Quindi ci troviamo sotto la mannaia del politico, il quale decide se
essere processati o meno. A questo punto viene spontaneo chiedersi, verrà mai autorizzata la procedura di
contestazione nei confronti dei suddetti ufficiali per il reato ad
essi imputato!?
I comandanti furono accusati di “imprudenza, imperizia e
negligenza”. Per aver sottovalutato gli allarmi ricevuti prima dell’attacco. e
per non aver adeguatamente protetto la base, con i necessari sbarramenti
all’ingresso. Per aver riempito i blocchi anticarro non di sabbia, ma di ghiaia
e sassi, che al momento dell’attentato si sono trasformati in terribili
proiettili. Per aver posizionato il deposito munizioni a ridosso degli alloggi.
Stano è stato condannato in primo grado a due
anni di reclusione e poi assolto in appello (non per non aver commesso il
fatto, ma per aver obbedito a ordini superiori). Imputato con lui, ma assolto
già in primo grado, il generale
Vincenzo Lops, che lo aveva preceduto al comando della base. Ora Stano,
diventato alto funzionario presso il ministero della Difesa, Stano era in
attesa della Cassazione,che avrebbe potuto confermare l’assoluzione o
bocciarla. Invece tutto si ferma.A meno di una del tutto improbabile richiesta
del ministro, la Cassazione non inizierà neppure
il giudizio sulla sentenza Stano; e il Tribunale militare dovrà interrompere il processo a Di Pauli.
Nella prossima udienza, fissata il 27 febbraio, era prevista la testimonianza
del capo della polizia irachena. Ma i giudici non potranno far altro che
prendere atto che il processo è svaporato. La norma contemplata e a
cui ci si riferisce èinserita
nella legge sul finanziamento delle missioni all’estero. Come ci si comporta
ora dinanzi ai famigliari che chiedono un giusto risarcimento, morale e
materiale?
Quanta superficiale ingerenza, determinata dalla posizione di
potere e dagli interessi personali, che continuano ancora a segnare il percorso
di una giustizia poco giusta.
Sono certo che se avessi chiesto a qualsiasi bambino iracheno un
consiglio su come fare per impedire che qualsiasi
mezzo potesse raggiungere facilmente i pressi della base, sarebbe stato in
grado di rispondere e di trovare una soluzione.
La vicenda è una delle tante vicende Italiane, ove
non si procede per avvenuta prescrizione o per qualsivoglia altro balzello
giuridico nei confronti dei potenti, che fa avvertire il continuo senso di
ingiustizia che pervade ormai gli animi di tutti.
Credo sia d’obbligo la bandiera a mezz’asta, per i militari
caduti e per la stessa giustizia Italiana.
TRASFERIMENTI PER INCOMPATIBILITA' AMBIENTALI - CONGRUA MOTIVAZIONE
1.
Trasferimento per incompatibilità ambientale - Presupposti.
2.
Trasferimento per incompatibilità ambientale - Motivazione – Contenuto
1.
Il trasferimento per incompatibilità ambientale dei dipendenti pubblici può
essere disposto solamente in relazione: a) a fatti e/o comportamenti anche
nella vita privata che violino i principi dell’onore e del decoro e che per la
loro risonanza ledano il prestigio e l’immagine esterna dell’ufficio; b) ad una
condotta all’interno dell’ufficio che, nella sua sistematicità e reiterazione,
pregiudichi ogni ulteriore proficua permanenza nella sede; c) a situazioni di
conflittualità palesi e/o latenti con l’ambiente di lavoro, che pregiudichino
ogni ulteriore proficua utilizzazione del dipendente nella sede di
assegnazione, anche per il pregiudizio che ciò arreca alla funzionalità
dell’ufficio.
2.
La natura ampiamente discrezionale dell’atto di trasferimento per
incompatibilità ambientale, impone all’Amministrazione un’adeguata e
congrua motivazione sull’esistenza oggettiva dei fatti impeditivi della
permanenza nella sede, sul nocumento che si riflette sulla funzionalità e
prestigio dell’ufficio, nonché sul nesso di correlazione fra la situazione di
grave conflittualità e la condotta tenuta dal dipendente.
SANZIONI DISCIPLINARI - MINACCIA DI INFLIGGERLE - E' REATO
E' reato la
minaccia del superiore gerarchico di infliggere sanzioni disciplinari al
dipendente
(Corte di cassazione 6 maggio 2009, n. 19021 )
(Corte di cassazione 6 maggio 2009, n. 19021 )
Il superiore gerarchico che minaccia il dipendente di infliggergli una sanzione disciplinare rischia di incorrere nel reato previsto dall’art. 612, comma 2 c.p.
E’ quanto è accaduto nella questione di cui si è occupata la Corte di Cassazione, nella sentenza 6 maggio 2009 n. 19021. Il caso ha riguardato un dipendente comunale, agente di polizia locale, che durante il suolavoro , mentre stava vietando al sindaco, alla guida della propria autovettura , il transito in una zona interdetta, quest’ultimo proferiva nei confronti del primo delle frasi in qualche modo intimidatorie, facendo intravedere la possibilità di azioni disciplinari.
Nulla è valso il tentativo di difesa del sindaco nel dimostrare che il potere disciplinare spettava non a lui ma al segretario comunale, in quanto, secondo la Corte, ciò non poteva escludere l’intento minaccioso, tenuto conto che l’imputato comunque era sempre il capo dell’amministrazione comunale e si trovava in una situazione di superiorità gerarchica rispetto alla parte offesa.
Inoltre, a parere della Corte, la minaccia doveva ritenersi certamente grave , integrandosi il reato di cui al secondo comma dell’art. 612 c.p., proprio in considerazione della subordinazione gerarchica del dipendente nei confronti del primo cittadino.
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