L’avvocato non può inserire nella parcella la voce di
tariffa “esame e studio” dell’udienza se nell’udienza non è svolta alcuna
attività processuale
Il “caro tariffa” degli avvocati è scontato,
ma che sia giustificato è il minimo che si possa pretendere e ciò dovrebbe
valere non solo, come nel caso in esame, quando a dover pagare è lo Stato,
ovvero si tratti di gratuito patrocinio, ma anche quando a pagare gli avvocati
siano i privati cittadini.
Le tariffe legali, si sa, oscillano tra un
minimo e un massimo. Con riferimento al gratuito patrocinio, lo Stato
riconosce, quale compenso dovuto al legale, un importo che costituisce la media
tra il minimo e il massimo. Ora, un avvocato, nominato difensore d’Ufficio di
un cittadino ammesso al gratuito patrocinio, con ricorso al Presidente della
Prima Sezione del Tribunale di Messina, lamentava il mancato riconoscimento dei
valori medi degli onorari di cui alla tariffa penale. Il Tribunale dichiarava
il ricorso improcedibile, sul rilievo che il ricorso andava presentato al
Presidente della Corte di Assise. La Corte di Cassazione annullava il
provvedimento impugnato, trasmettendo gli atti al Tribunale di Messina. Il
Tribunale rigettava il ricorso, ribadendo il principio secondo il quale, in
tema di gratuito patrocinio, la disposizione normativa, che impone di liquidare
l’onorario e le spese al difensore in modo che l’importo non risulti superiore
ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, va interpretato nel senso
che la media dei valori tariffari costituisce il limite massimo invalicabile e
non nel senso che la liquidazione deve avvenire secondo la media delle tariffe,
in quanto il compenso può essere liquidato anche in misura inferiore alla
media, purché non al di sotto delle tariffe minime. Il ricorrente aveva
lamentato anche il mancato riconoscimento della voce esame e studio, con
riferimento a oltre trenta udienze a cui lo stesso aveva partecipato. Ma, il
Tribunale rilevava che quanto alle udienze di mero rinvio, nonché a quelle in
cui era stata svolta solo l’ attività di lettura degli atti, era sufficiente
considerare che risultava inutile l’espletamento di qualsiasi attività di
studio propedeutica alle stesse, pertanto l’onorario relativo alla voce esame e
studio andava attribuito solo con riferimento alla partecipazione alle udienze
e caratterizzate dall’effettivo svolgimento dell’ attività dibattimentale.
Avverso tale pronuncia, l’avvocato ha promosso ricorso per Cassazione. La
Suprema Corte si è pronunciata con la Sentenza n.
23889/2009, rigettando il ricorso. In buona sostanza, la Corte ha
ribadito quanto affermato dal giudice del merito. Infatti, il Collegio ha
confermato che il compenso per “esame e studio”, prima della partecipazione
all’udienza, è finalizzato a retribuire lo sforzo intellettuale che il
difensore deve svolgere per organizzare la sua linea difensiva in relazione alla
dinamica del dibattimento che si va ad affrontare. Ora, nel caso in cui
nell’udienza non si svolga alcuna attività processuale, mero rinvio, ovvero si
proceda a una mera lettura di atti già assunti in precedenza e già programmati,
il difensore, in prospettiva di tali udienze non deve attivare uno sforzo per
la preparazione, in quanto è sufficiente quello già fatto e remunerato per la
prima udienza antecedente al mero rinvio o alla lettura.
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