mercoledì 16 maggio 2012

L'AVVOCATO DEVE MOTIVARE LE SPESE LEGALI


L’avvocato non può inserire nella parcella la voce di tariffa “esame e studio” dell’udienza se nell’udienza non è svolta alcuna attività processuale

Il “caro tariffa” degli avvocati è scontato, ma che sia giustificato è il minimo che si possa pretendere e ciò dovrebbe valere non solo, come nel caso in esame, quando a dover pagare è lo Stato, ovvero si tratti di gratuito patrocinio, ma anche quando a pagare gli avvocati siano i privati cittadini.
Le tariffe legali, si sa, oscillano tra un minimo e un massimo. Con riferimento al gratuito patrocinio, lo Stato riconosce, quale compenso dovuto al legale, un importo che costituisce la media tra il minimo e il massimo. Ora, un avvocato, nominato difensore d’Ufficio di un cittadino ammesso al gratuito patrocinio, con ricorso al Presidente della Prima Sezione del Tribunale di Messina, lamentava il mancato riconoscimento dei valori medi degli onorari di cui alla tariffa penale. Il Tribunale dichiarava il ricorso improcedibile, sul rilievo che il ricorso andava presentato al Presidente della Corte di Assise. La Corte di Cassazione annullava il provvedimento impugnato, trasmettendo gli atti al Tribunale di Messina. Il Tribunale rigettava il ricorso, ribadendo il principio secondo il quale, in tema di gratuito patrocinio, la disposizione normativa, che impone di liquidare l’onorario e le spese al difensore in modo che l’importo non risulti superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, va interpretato nel senso che la media dei valori tariffari costituisce il limite massimo invalicabile e non nel senso che la liquidazione deve avvenire secondo la media delle tariffe, in quanto il compenso può essere liquidato anche in misura inferiore alla media, purché non al di sotto delle tariffe minime. Il ricorrente aveva lamentato anche il mancato riconoscimento della voce esame e studio, con riferimento a oltre trenta udienze a cui lo stesso aveva partecipato. Ma, il Tribunale rilevava che quanto alle udienze di mero rinvio, nonché a quelle in cui era stata svolta solo l’ attività di lettura degli atti, era sufficiente considerare che risultava inutile l’espletamento di qualsiasi attività di studio propedeutica alle stesse, pertanto l’onorario relativo alla voce esame e studio andava attribuito solo con riferimento alla partecipazione alle udienze e caratterizzate dall’effettivo svolgimento dell’ attività dibattimentale. Avverso tale pronuncia, l’avvocato ha promosso ricorso per Cassazione. La Suprema Corte si è pronunciata con la Sentenza n. 23889/2009, rigettando il ricorso. In buona sostanza, la Corte ha ribadito quanto affermato dal giudice del merito. Infatti, il Collegio ha confermato che il compenso per “esame e studio”, prima della partecipazione all’udienza, è finalizzato a retribuire lo sforzo intellettuale che il difensore deve svolgere per organizzare la sua linea difensiva in relazione alla dinamica del dibattimento che si va ad affrontare. Ora, nel caso in cui nell’udienza non si svolga alcuna attività processuale, mero rinvio, ovvero si proceda a una mera lettura di atti già assunti in precedenza e già programmati, il difensore, in prospettiva di tali udienze non deve attivare uno sforzo per la preparazione, in quanto è sufficiente quello già fatto e remunerato per la prima udienza antecedente al mero rinvio o alla lettura.


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